Mafia, provincia di Pisa seconda per confische

La criminalità organizzata pare aver imparato a fare squadra. E’ una della conclusioni a cui arriva il secondo rapporto annuale sui fenomeni di criminalità organizzata e corruzione in Toscana: un’analisi, condotta anche stavolta dalla Scuola Normale di Pisa su commissione della Regione, che approfondisce i contenuti della prima edizione presentata nel 2017 e traccia i contorni assunti in Toscana da mafie e corruzione, dando conto delle nuove dinamiche di espansione. E i dati calati nel locale assegnano a Pisa e provincia la seconda posizione per numero di confische (soprattutto di terreni). 

Dati statistici, nel rapporto, si incrociano ad analisi di episodi puntuali. C’è anche uno studio dedicato all’area di Prato, contesto particolarissimo dove dinamiche nazionali di migrazione criminale delle mafie storiche si incrociano con altre transnazionali, in un meccanismo di riproduzione e colonizzazione simile. E poi c’è un focus sull’azione della società civile e sull’impegno ‘dal basso’, perché le mafie si combattono non solo nelle aule di giustizia o nei tribunali ma anche a scuola.
Le mafie in Toscana, secondo il rapporto della Normale e a guardare le carte dei tribunali, non sembrano manifestarsi con una presenza stabile e organizzata sul territorio. Pochi e sporadici casi insomma da articolo 416 bis, anche nel 2017, ma ben più numerose attività criminali a sostegno di associazioni di stampo mafioso. Se negli ultimi quindici anni il numero di condannati in Toscana per associazione resta molto limitato, diverso è il caso per i reati di favoreggiamento di organizzazioni criminali di stampo mafioso. Negli ultimi tre anni il distretto toscano è infatti il primo in Italia, dopo le tre regioni a presenza storica delle mafie (ovvero Campania, Calabria e Sicilia) per arresti o denunce con questa aggravante: 223 le persone coinvolte, oltre il 30 per cento del totale nazionale al netto delle tre regioni.
Quattro sarebbero le province toscane a più elevato rischio di penetrazione criminale: Grosseto, Livorno, Prato e Massa Carrara, l’unica peraltro che registra un aumento dei fenomeni di intimidazione e violenza criminale. Crescono nella regione, negli ultimi anni, anche i danneggiamenti a seguito di incendio, gli attentati e le rapine in banca (queste ultime soprattutto in provincia). Per denunce di estorsione Livorno è tra le prime in Italia per tasso di crescita annuale. Prato svetta invece in assoluto per riciclaggio.
La Scuola Normale prova a tracciare anche una mappa della presenze delle quattro mafie tradizionali che hanno sviluppato attività e scambi di tipo economico, in mercati illeciti o meno, in Toscana. Si contano 78 clan: il 48 per cento legato a gruppi della ‘ndrangheta calabrese, il 41 per cento affiliati alla camorra e il resto, con il 5 per cento ciascuno, a Cosa Nostra e Sacra Corona Unita pugliese. Otto sarebbero di origine prevalentemente autoctona, in cinque casi riconducibili ad una matrice campana e negli altri tre calabrese. Mercato degli stupefacenti (23%), estorsioni (13%), sfruttamento della prostituzione e riciclaggio (11%), contraffazione e usura (6%) risultano le loro attività più frequenti, assieme al traffico di rifiuti. Nello spaccio della droga gli stranieri arrestati doppia nel 2016 quello degli italiani.
I gruppi mirano ad un controllo più dei mercati che del territorio e frequenti sarebbero appunto gli scambi e i legami tra compagini criminali di origine differente, che fanno pensare a possibili integrazioni anche di natura organizzativa.
L’arresto di latitanti sul territorio toscano dimostra l’importanza che la Toscana ha per le organizzazioni mafiose storiche, disposte appunto anche a superare le conflittualità che esistono nei territori di origine quando operano nella regione. Prato ne è un esempio. Ci sono inoltre segnali che dimostrano una certa predisposizione di alcuni settori dell’economia toscana rispetto alla protezione di matrice mafiosa. E questo suona come un campanello di allarme.
I numeri messi in evidenza anche nei mesi scorsi anche da altri – dalla Fondazione Caponnetto ad esempio, con 132 gruppi criminali censiti nella regione per un giro di affari stimato di 15 miliardi – disegnano alla fine una trama criminale che, operando con basso profilo e pochi fatti di sangue, mostra di aver messo radici nel tessuto economico della regione, contaminando con la propria cultura anche soggetti estranei alla malavita. Secondo l’Espresso in Toscana si nasconderebbe addirittura il boss superlatitante di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, protetto dalla ‘ndrangheta.
Per quanto riguarda la proiezione criminale nell’economia legale della Toscana, i dati parrebbero evidenziare una preferenza per il riciclaggio ed occultamento di capitali, l’utilizzo di imprenditori e professionisti del posto ed un’infiltrazione ed azione più nel settore privato che nel mercato degli appalti pubblici.
Il contrasto delle attività criminali non rientra tra le competenze delle Regioni. La Toscana da tempo vi è comunque impegnata, fin dall’inizio degli anni Novanta. La Regione ha sostenuto negli anni i campi estivi in Sicilia e Calabria sui terreni strappati alla criminalità e contribuisce alla formazione di coscienze attive con quella ‘casa della memoria’ che è il Centro di documentazione e legalità democratica che si trova all’ultimo piano di Palazzo Strozzi Sacrati, affacciato su piazza Duomo a Firenze: un archivio della Regione sui misteri e i poteri occulti, le stragi, l’eversione e appunto anche la mafia e la criminalità organizzata in Italia. Uno spazio frequentato da studiosi ma anche dalle scuole. Dal 1999 esiste una legge regionale per la promozione tra gli studenti e nella società civile dell’educazione alla legalità e lo sviluppo di una coscienza civile democratica.
Nella vita un toscano su venti è stato corrotto o concusso (o quantomeno ha subito un tentativo di corruzione o concussione). Lo mette in evidenza un’indagine dell’Istat: nel 2015 e 2016 il 5,5 per cento delle famiglie toscane ha infatti dichiarato di essere stata coinvolta almeno una volta, direttamente, in fenomeni corruttivi. Da questo dato parte l’analisi della Scuola Normale di Pisa, nel suo rapporto sulla criminalità in Toscana. Ma in Italia la media è ancora più alta (7,9%) e si tratta dunque di un numero positivo, così come in modo virtuoso la Toscana si discosta dalla media italiana riguardo i reati contro la pubblica amministrazione. L’anno preso in esame, in questo caso, è il 2016, con il peculato che appare il reato più diffuso.
Rispetto alla corruzione il settore urbanistico e del governo del territorio appaiono gli ambiti più vulnerabili. Anche la sanità è tra i più esposti, ma raramente si versano tangenti: la contropartita, rivela lo studio della Normale di Pisa, è più spesso quella di finanziamenti alla ricerca o di eventi, la sponsorizzazione o benefit personali.
Sempre il rapporto mette in evidenza come nella corruzione in Toscana spicchi il ruolo di imprenditori e professionisti, mentre la presenza di attori politici risulta marginale. In circa la metà dei casi analizzati i destinati di favori sono dipendenti, funzionari o dirigenti pubblici. Si tratta complessivamente, comunque, di numeri piccoli. Sono stati trentatré infatti gli eventi di corruzione in Toscana che la Normale evidenzia che sono stati oggetto di attenzione mediatica. Si sommano ai ventidue del precedente rapporto.
Il settore dei controlli, particolarmente in ambito sanitario ma anche del lavoro, fiscale ed ambientale, si conferma sede di una robusta convergenza di interessi illeciti. Nessuno coinvolgimento è emerso, nel 2017, di attori che appartenessero ad organizzazioni di stampo mafioso. Cruciale appare il ruolo dei professionisti (avvocati, commercianti, ingegneri, architetti, medici) accanto ad imprenditori e dipendenti pubblici. Non si registrano nel 2016 e 2017 eventi di corruzione in Toscana che riguardano il settore urbanistico e il governo del territorio. Ma per i ricercatori della Normale si tratterebbe di un segnale ambiguo, che potrebbe nascondere un elevato grado di occultamento e la bravura nel non lasciare tracce in un ambito che rimane potenzialmente ad alto rischio di distorsioni e corruzione.

Uno su venti dichiara di essere stato vittima
Nella vita un toscano su venti è stato corrotto o concusso (o quantomeno ha subito un tentativo di corruzione o concussione). Lo mette in evidenza un’indagine dell’Istat: nel 2015 e 2016 il 5,5 per cento delle famiglie toscane ha infatti dichiarato di essere stata coinvolta almeno una volta, direttamente, in fenomeni corruttivi. Da questo dato parte l’analisi della Scuola Normale di Pisa, nel suo rapporto sulla criminalità in Toscana. Ma in Italia la media è ancora più alta (7,9%) e si tratta dunque di un numero positivo, così come in modo virtuoso la Toscana si discosta dalla media italiana riguardo i reati contro la pubblica amministrazione. L’anno preso in esame, in questo caso, è il 2016, con il peculato che appare il reato più diffuso.
Rispetto alla corruzione il settore urbanistico e del governo del territorio appaiono gli ambiti più vulnerabili. Anche la sanità è tra i più esposti, ma raramente si versano tangenti: la contropartita, rivela lo studio della Normale di Pisa, è più spesso quella di finanziamenti alla ricerca o di eventi, la sponsorizzazione o benefit personali.
Sempre il rapporto mette in evidenza come nella corruzione in Toscana spicchi il ruolo di imprenditori e professionisti, mentre la presenza di attori politici risulta marginale. In circa la metà dei casi analizzati i destinati di favori sono dipendenti, funzionari o dirigenti pubblici. Si tratta complessivamente, comunque, di numeri piccoli. Sono stati trentatré infatti gli eventi di corruzione in Toscana che la Normale evidenzia che sono stati oggetto di attenzione mediatica. Si sommano ai ventidue del precedente rapporto.
Il settore dei controlli, particolarmente in ambito sanitario ma anche del lavoro, fiscale ed ambientale, si conferma sede di una robusta convergenza di interessi illeciti. Nessuno coinvolgimento è emerso, nel 2017, di attori che appartenessero ad organizzazioni di stampo mafioso.
Cruciale appare il ruolo dei professionisti (avvocati, commercianti, ingegneri, architetti, medici) accanto ad imprenditori e dipendenti pubblici. Non si registrano nel 2016 e 2017 eventi di corruzione in Toscana che riguardano il settore urbanistico e il governo del territorio. Ma per i ricercatori della Normale si tratterebbe di un segnale ambiguo, che potrebbe nascondere un elevato grado di occultamento e la bravura nel non lasciare tracce in un ambito che rimane potenzialmente ad alto rischio di distorsioni e corruzione.

Confische: Lucca quarta in Toscana
Case in gran parte, ma anche terreni e aziende. Per lo più, il 40 per cento, riconducibili alla camorra campana, forte nella presenza in particolare ad Arezzo, Firenze, Prato, Lucca e Pisa. La Toscana piace alle mafie, che nella ‘regione della bellezza’ da anni investe.
Erano 364 lo scorso maggio (ed oggi una settantina in più) i beni sotto confisca in Toscana, distribuiti in sessanta dei 276 comuni della regione: 312 immobili e 54 aziende per l’appunto, come ricorda nel suo rapporto annuale, commissionato dalla Regione, la Scuola Normale di Pisa. Negli archivi online dell’agenzia nazionale che quei beni li gestisce ed assegna ne risulterebbero anche più di 364 (486 a maggio, 558 oggi). Ma la Corte di appello di Firenze ha revocato ad aprile 2018 un provvedimento di confisca per oltre centoventi immobili, concentrati per lo più in un borgo del comune di Camporgiano in provincia di Lucca. Il numero dunque diminuisce e si attesta a 364.
Quelle case e quelle aziende sono il frutto di riciclaggio e di operazioni di occultamento di capitali illeciti. Ma se l’origine camorrista è prevalente – e ben distanti, ma presenti, arrivano ‘ndrangheta calabra (8%), Cosa Nostra e affini (7%) e Sacra Corona Unita pugliese (7%) – va anche detto che un quarto dei beni sotto confisca non si riferisce a reati di criminalità organizzate, ma usura, estorsione o bancarotta.
I beni possono essere confiscati in via preventiva o dopo una sentenza. Percorsi tutti i gradi dei processi, la confisca diventa definitiva e le proprietà possono a quel punto essere assegnate. Peccato che solo il 20 per cento di quei 364 immobili e aziende sia arrivato a quel traguardo, il 38% se si considerano le sole proprietà ‘destinabili’. Centosedici sono i beni confiscati definitivimente. Si tratta di un ritardo significativo: la media nazionale è di fatto il doppio (43 e 64 per cento). Rispetto agli ultimi anni si sono comunque fatti passi da gigante e si è registrata un’accelerazione. Nella seconda parte del 2017 (e all’inizio del 2018) infatti i beni destinati sono stati il 31 per cento in più rispetto all’anno precedente, merito delle iniziative intraprese e di un rinnovato ruolo proattivo da parte dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati.
Si tratta di numeri lontani rispetto a quelli di regioni a tradizionale presenza mafiosa o storicamente a più elevata colonizzazione criminale: la Sicilia conta 1261 aziende confiscate e 10.180 immobili, la Campania 708 e 4046, il Lazio 522 e 1703, la Calabria 496 e 4128 e la Puglia 217 e 2293. Anche la Lombardia, con 339 aziende e 2650 immobili sotto confisca arriva prima, ugualmente l’Emilia Romagna (106 e 706). Si tratta inoltre di particelle catastali e non di immobili veri e propri,che sono molti di meno. Ma è una presenza che non va sottovalutata. Sesta per numero di aziende e quarta per immobili, “la Toscana non è una terra di mafia, ma la mafia c’è” ripeteva lo scomparso giudice Antonino Caponnetto. Il bene forse simbolo di queste confische è la tenuta di Suvignano nel comune di Monteroni d’Arbia, in provincia di Siena ed è anche un caso emblematico dei tempi spesso lunghissimi per arrivare ad un’assegnazione definitiva.
La proprietà conta diciassette coloniche e 21 mila metri quadri tra immobili e magazzini, una chiesetta di fianco all’edificio principale e settecento ettari di terreni (685 nel comune di Monteroni e 18 in quello di Murlo). C’è pure un agriturismo, funzionamente. La via Francigena passa lì vicino.
Il cuore dell’attività rimane comunque la coltivazione dei campi: grano ed erba per foraggio per lo più, qualche olivo e un centinaio di ettari di bosco. La storia inizia con il giudice Giovanni Falcone quando nel 1983 sequestra la tenuta una prima volta all’imprenditore palermitano Vincenzo Piazza, sospettato di aver rapporti con Cosa Nostra. Il costruttore siciliano ne rientra successivamente in possesso. Tra il 1994 e il 1996 arriva il secondo sequestro, assieme ad un patrimonio di ben duemila miliardi di vecchie lire affidato alla gestione di un amministratore giudiziario. Poi nel 2007, con la condanna passata in giudicato, la confisca diventa definitiva. Da allora però, sono passati oramai undici anni e l’azienda è ancora gestita dall’Agenzia nazionale per i beni confiscati e non è stata ancora assegnata agli enti locali che assieme alla Regione avevano presentato un progetto di agricoltura sociale.
Suvignano è anche l’esempio di una mafia che non è più quella della coppola confinata solo in Sicilia ma quella che fa affari nel mondo ed investe parte dei suoi guadagni illeciti e riutilizzare i beni strappati alle mafie e riconsegnarli alla collettività rimane la priorità per la Regione.
La provincia di Firenze ospita il maggior numero di beni immobili e aziende confiscate (il 20 per cento, prima in regione per edifici a a fini industriali e commerciali). Segue Pisa (18%, prima per terreni), Livorno (14%) e Lucca (10%). La provincia di Pisa ha il maggior numero di beni ancora in gestione all’agenzia nazionale (22%). A guardare i beni già destinati è invece Pistoia a guidare la classica regionale: quasi uno su tre si trova lì. Livorno, con Firenze, sono le due province con il maggior numero di aziende confiscate (54 in tutta la Toscana).

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