Cuoio, lavoro è nero e povero. Più contratti a tempo indeterminato

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Crescono lavoro nero e lavoro povero nel comprensorio del Cuoio. Chi perde il lavoro, infatti, se lo ritrova, lo fa con condizioni peggiorate rispetto al precedente impiego. Sempre più persone, inoltre, si rivolgono agli uffici della Cgil per raccontare storie incredibili per questo territorio, che fino a pochi anni fa sembrava immune dalla crisi occupazionale, dove il lavoro era molto di più rispetto ai lavoratori disposti a farlo

I dati forniti dal centro per l’impiego di Santa Croce sull’Arno, che fanno riferimento ai comuni di Santa Croce, Montopoli, Castelfranco, San Miniato e Santa Maria a Monte, raccontano una crescita di contratti a tempo indeterminato, ma, parallalelamente, di un calo in quasi tutte le altre formule, con una situazione quasi stabile per quelle più precarie, come i contratti a tipi, co.co.co (ora possibili solo per gli iscritti agli ordini professionali) e tirocini. Allo stesso tempo, però, calano i salari o le ore lavoro, se è vero che aumentano le donne iscritte, “Probabilmente di famiglie finora monoreddito che, ora, non ce la fanno più e provano a fare diversamente”, spiega Tania Benvenuti, coordinatrice di zona per la Cgil. I dati forniti sono riferiti al periodo tra gennaio e agosto 2015: non tengono, perciò, conto, del rientro dalle ferie, quando alcuni non rientrano proprio e sono costretti a chiudere l’attività (in alternativa all’anno fiscale di gennaio). O, magari, anche ad aprirla. Le persone disponibili a lavorare, iscritte o riscritte nelle liste di disoccupazione, sono in costante aumento da gennaio 2013: si è passati da 11.063 a 12.052 nel gennaio 2014, a 12.767 nello scorso.

Lavoro di genere

Nei tre anni, le donne in cerca di occupazione sono cresciute di quasi mille unità. Per loro, però, ci sono contratti precari: “Dove il lavoro è più stabile e sicuro – spiega Benvenuti – c’è una percentuale maggiore di uomini”. Riservati a lavoratrici sono il 33% dei contratti a tempo indeterminato, il 44 di quelli a tempo determinato, apprendistato e tirocini, il 60% degli altri, quelli più precari. Contrattualizzazione in generale flessione, con un dato su tutti in controtendenza: da gennaio ad agosto sono stati 1.400 i nuovi contratti a tempo indeterminato, 678 in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Dato, questo, positivo solo in parte, visto che è impossibile sapere quale situazione ciascuna assunzione è andata a sanare e, soprattutto, “cosa succederà nel 2018”.

I contratti

Secondo Benvenuti, infatti, “il dato è figlio del Jobs Act e le assunzioni dipendono dagli sgravi e dalle agevolazioni che per tre anni accompagnano le assunzioni. Poi, però, bisognerà capire se queste politiche hanno davvero creato lavoro e portato a stabilizzazioni”. Intanto, per ora, hanno fatto diminuire di 174 unità rispetto allo scorso anno i contratti a tempo determinato e di 195 quelli di apprendistato e ha ridotto i contratti a tempo determinato per chiamata da agenzia interinale dagli oltre 4.500 del 2014 ai 2.700 di quest’anno. “Questo è un altro triste dato – prosegue la sindacalista – in un territorio che con l’artigianato di qualità si è fatto grande” e che ora, stando a questo dato, avrebbe abdicato al suo ruolo di formazione, che significa anche investire sulle persone per specializzarle. Sostanzialmente stabile il dato sui tirocini, “drogato”, però, dai contributi regionali, in scadenza a ottobre. Giovani avviati al lavoro e tirocinio sono anche quelli di Garanzia Giovani che, tra gennaio e settembre, ha aperto 539 posizioni: il 40% tirocini, solo l’8% contratti a tempo indeterminato.

Lavoro e tutele
A preoccupare la Cgil è anche il fatto che “dal prossimo anno, la cassaintegrazione straordinaria si riduce da 12 a 24 mesi. Questo significa che per i lavoratori ci saranno meno garanzie, così come per le aziende, che potrebbero scegliere di licenziare qualcuno per salvare gli altri nei periodi fisiologici, specie per il settore moda, di calo del lavoro”. Sono diverse le piccole aziende, spiega ancora Benvenuti, che hanno chiuso e stanno chiudendo, pur senza il clamore della singola, ma grande azienda. “Questo distretto è ancora capace di innovare e ha una grande storia, ma è chiaro ed evidente un ritorno al lavoro povero. Non c’è il lavoratore che sceglie di cambiare lavoro per migliorare le proprie condizioni, come in passato, ma c’è quello che si trova fuori dal mercato e anche quando, con fatica, riesce a ricollocarsi, lo fa a condizioni peggiori di quelle che aveva guadagnato. Inoltre, c’è una pesantezza del lavoro, data dal fatto che la gente, entrata magari da giovane in conceria, resta al lavoro fino a molto adulta, con la conseguenza che non libera posti di lavoro, ma anche che si ammala”. Tra le malattie professionali diventate comuni, per esempio, c’è l’assottigliamento dei tendini delle spalle, dopo anni in cui si appendono ai ganci, pelli di 40 chili. “Servono investimenti strategici”, è la sintesi di Cgil, perché andaree avanti così significa perdere qualità e quantità di posti di lavoro, ma anche delle stesse professionalità.

Elisa Venturi

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