Conciario, il lusso non traina più

Le grandi firme non trainano più. Dopo aver viaggiato forte negli ultimi anni, garantendo crescite a doppia cifra a molte concerie del comprensorio, le più grandi griffe di moda adesso tirano il fiato, in una situazione di stasi che sembra proseguire anche nel 2016. A lavorare di più sono invece alcune griffe di medio livello: marchi, talvolta emergenti, che recentemente sembrano incontrare di più il favore della clientela, ma con i quali non tutte le concerie del distretto toscano sono strutturate per lavorare. Il risultato è una fase di riallineamento del mercato, tra aziende che hanno avuto un consistente calo di produzione e altre che al contrario lavorano.

Sarebbero questi, secondo gli imprenditori, gli elementi che spiegano i dati negativi emersi dall’indagine della Camera di Commercio di Pisa, che ha parlato di un -3,9% di produzione e un -5,4% di fatturato (leggi qui Crollo del calzaturiero, fatturati in calo nel conciario). “Numeri da prendere con le pinze”, dicono i conciatori, considerando che l’indagine ha preso in esame solo un centinaio di imprese in tutta la provincia.
Poche settimane fa, del resto, l’Unione industriale pisana aveva parlato per il conciario di un segno positivo: +1,38% negli ultimi tre mesi del 2015 (leggi qui Conciario ritrova segno più. Donati: ‘Prudenti ma fiduciosi’)
“La tendenza è stata quella di un calo generale con un leggero incremento nell’ultimo trimestre dell’anno – afferma infatti Piero Maccanti, direttore dell’associazione conciatori di Santa Croce -. Un incremento che ha permesso di contenere il calo generale del 2015 intorno ad un 3% circa, rispetto ad una contrazione che nei mesi precedenti appariva più forte”. Al di là delle cifre, comunque, ciò che emerge è soprattutto l’assottigliarsi dei fatturati, che sembrano restringersi più degli ordinativi. “Fino ad oggi la forte incidenza del fatturato era data dalle forniture alle grandi firme – riprende Maccanti -. Nel 2015, invece, le grandi griffe hanno avuto una discreta flessione a livello generale, e sono state rimpiazzate nel gradimento dei mercati da firme minori che trattano materiali non al top a cifre inferiori. Di conseguenza, per sopperire ai minori ordinativi, si è cominciato a lavorare con queste medie firme, anche se non tutte le aziende sono attrezzate per sopperire a questo cambiamento. Non è affatto detto, però, che le aziende che lavorano per questi marchi abbiano margini di guadagno minori rispetto a chi lavora per il mercato del lusso”.
Il dato positivo, secondo il presidente del Consorzio conciatori di Ponte a Egola, Michele Matteoli, “è questa elasticità del comparto conciario nell’adattarsi ai cambiamenti del mercato, anche se la situazione che si respira al momento è indubbiamente di stasi”. “Tutte le granfi firme alle quali ci rivolgiamo – spiega Matteoli – ci dicono di avere i magazzini pieni: è una tendenza dovuta forse anche a diversi fattori geopolitici globali. In questo momento, di fatto, stanno lavorando di più le imprese che producono una qualità un po’ più bassa, con margini spesso anche più redditizi rispetto all’altissima qualità, perché più un prodotto è ricco e maggiore sono i costi di produzione”
Secondo Ettore Valori, vicepresidente del Consorzio, la fase che il distretto sta vivendo rappresenta un passaggio fisiologico, “che non ci rende felici – dice – ma neppure deve creare allarmismo”. “Negli ultimi quattro anni le grandi firme hanno lavorato forte – spiega – e adesso è normale che ci sia un rallentamento dovuto anche ad una serie di fattori globali più grandi di noi. Un rallentamento che secondo me si avvertiva già nelle fiere del 2014 quando ancora c’era più produzione. Non credo che nel 2016 ci sarà la ripresa, ma si avverte comunque un certo interesse che fa ben sperare per il futuro”. La situazione attuale, secondo Valori, difficilmente può essere ridotta in pochi numeri indicativi, perché tra una conceria e l’altro si vivono differenze consistenti: “Ci sono aziende che hanno avuto un calo di produzione molto più alto del 3% indicato dalla Camera di commercio – dice – e ci sono aziende che soffrono meno perché lavorano per una fascia medio bassa. Ogni azienda ha la sua postazione: chi è abituato a lavorare per le grandi firme compra pellami grezzi che costano di più dei pellami finiti di fascia media. Ad ogni modo, mettersi a rincorrere il mercato è inutile, perché alla fine non riesci mai ad essere specializzato: un prodotto deve essere fatto a regola d’arte, a prescindere che sia di lusso o meno”.

 

Giacomo Pelfer

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