Montanelli e il cinema tra successi e flop foto

di Riccardo Cardellicchio

Nei giorni scorsi, al Nuovo Pacini di Fucecchio, proiezione in anteprima di un docufilm su Indro Montanelli… ‘Indro, l’uomo che scriveva sull’acqua’, di Samuele Rossi. Un docufilm di successo, anche se qualcuno ha rilevato l’assenza delle donne, che ebbero grande importanza nella sua vita. L’evento ha avuto uno strano effetto… far maturare in diversi l’idea d’intitolargli una strada o una piazza, caso mai arricchita da un monumento… ho parlato di strano effetto perché la biblioteca comunale è intitolata a lui, con soddisfazione dei familiari, critici invece per il monumento di Milano…

Indro Montanelli e il giornalismo. Indro Montanelli e la memoria. Indro Montanelli e la storia. Se ne sa molto e se ne parla molto. Poco si sa di Indro Montanelli e il teatro. Soprattutto di Indro Montanelli e il cinema. Quella per il cinema è stata una passione momentanea, finita – probabilmente – con la stroncatura ricevuta da “I sogni muoiono all’alba”, film diretto insieme ad altri due e tratto dall’omonimo testo teatrale, che invece aveva avuto successo. Ma andiamo con ordine. Il primo approccio con il cinema, Montanelli lo ha sùbito dopo la guerra, nel 1946. E’ tra gli autori di “Pian delle Stelle”. Gli altri sono Bogo, Metz, Sonego e Ferroni, che ne è anche il regista. Prodotto a basso costo dal Corpo Volontari della Libertà di Padova, racconta di alcuni militari italiani, che riescono a fuggire da una prigione tedesca e – siamo nel 1944 – si uniscono a una brigata partigiana veneta, che opera a Pian delle Stelle. La comanda un ufficiale, il cui nome di battaglia è Lupo. Ci sono azioni di guerra e storie d’amore. La storia più importante è quella di Lupo con Luisa. Storia dolorosa. Come dolorosa è la sorte di numerosi partigiani.

Alcuni critici definiscono il film antiretorico. Ma alla Mostra di Venezia, viene accolto da “corrucciati giudizi”. Risaputo. Logoro. Episodio sentimentale forzato. Il Morandini, invece, sostiene che si distingue per il gusto del paesaggio e una certa autenticità nelle scene d’azione. Non ha una vera e propria distribuzione e finisce nel dimenticatoio troppo presto. Nel 1947, di nuovo con il regista Giorgio Ferroni, Montanelli è autore – con altri – della sceneggiatura, tratta da un suo articolo. Il film è “Tombolo, paradiso nero”. In pieno neorealismo, la pellicola “si pone dentro e fuori i labili confini di tale corrente”. La vicenda ha a protagonista Andrea Rascelli (Aldo Fabrizi), ex brigadiere, ora guardiano di un deposito a Livorno, non lontano da Tombolo, la pineta occupata da militari di colore, e amico del capo della polizia (Luigi Pavese). La figlia di Andrea se n’è andata e, per sopravvivere, s’è messa a fare la prostituta. Nello stesso tempo, è divenuta amante di un malavitoso locale, chiamato Il Ciclista (Elio Steiner). Andrea lo scopre e reagisce al dolore infiltrandosi nella banda per fare arrestare tutti. C’è lo scontro a fuoco tra Il Ciclista e Andrea. C’è il pentimento della ragazza. Le tinte sono forti. Comunque, la critica lo giudica ben girato, con ritmo, l’intreccio che regge e mostra “una sincera partecipazione” del regista e degli sceneggiatori “agli eventi di questa umanità diseredata”. Di più. C’è chi lo classifica l’unico film italiano capace “d’indagare e mostrare senza ipocrisie la realtà di una prostituzione diffusa, certamente generata dalla miseria, ma anche alimentata dalle spregiudicate necessità delle truppe (di colore e non)”. La visione di Montanelli e del regista “rimane ancorata a una concezione tradizionale dei valori, a una netta distinzione di bene e male, a una ricerca di responsabilità che riguarda la sfera individuale e, infine, a un’indulgenza nei confronti delle scelte femminili”.

Montanelli torna al cinema dodici anni dopo, grazie a Roberto Rossellini, che dirige una riduzione del suo racconto “Il Generale della Rovere” Sceneggiatori sono lo stesso Rossellini, il commediografo Diego Fabbri e Sergio Amidei. E’ il racconto di un enigma, che si rifà alla biografia di Indro Montanelli in carcere, prigioniero dei tedeschi a San Vittore e condannato a morte nel 1944. Chi era il suo compagno di cella? Era Giovanni Bertone, truffatore, spia della Gestapo, o il Generale della Rovere, come si faceva chiamare? Sta di fatto che l’uomo finisce per convertirsi e affrontare, con eroismo, la fucilazione, voluta dai fascisti per rappresaglia all’uccisione del federale di Milano. Film controverso, oggetto di polemiche per la sua rappresentazione della Resistenza. Interpretato – volutamente – sopra le righe da Vittorio De Sica, e con Giovanna Ralli e Sandra Milo, ottiene il Leone d’Oro, ex-aequo con “La grande guerra” di Monicelli, alla mostra di Venezia (edizione numero ventiquattro), il Nastro d’argento per la migliore regia e il David di Donatello per la migliore produzione.

Nel 1960, Indro Montanelli mette in scena un testo teatrale, basato sulla sua esperienza d’inviato in Ungheria nel 1956. Ha successo. E ciò lo spinge, l’anno dopo, a intraprendere l’avventura della regia, facendosi dare una mano da Enrico Gras e Mario Crateri, noti documentaristi. Nel cast troviamo Lea Massari, Aroldo Tieri, Mario Feliciani, Ivo Garrani, Gianni Santuccio, Rina Centa e Renzo Montagnani. La vicenda si svolge nella notte tra il 3 e il 4 novembre 1956. Sono in corso le trattative tra sovietici e insorti ungheresi, guidati da Maleter. In un albergo, si trovano cinque giornalisti italiani, ognuno con le proprie idee politiche, ognuno con i propri problemi, morali e fisici. E’ una notte terribile, d’alta tensione. Uno di loro – Sergio, giovane comunista – ha una breve, ma intensa, storia d’amore con la partigiana ungherese Anna. Notte di sogni e di speranze. Ma tutto muore, all’alba, quando arriva il rumore, assordante e terribile, dei carri armati. E’ l’inizio della tragedia di un popolo. E tragedia è anche per tre dei sei personaggi. La critica non è benevola. I giudizi severi, li ritroviamo sintetizzati nel Morandini: film inerte, statico, verboso, direzione impacciata. Montanelli va a rivederlo a Fucecchio, al cinema teatro Pacini, nel giugno 1962. Si trova solo o quasi. Da allora il cinema non ha fatto più parte della sua attività di giornalista e scrittore.

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