Viaggio in val di Chiecina fra storia, leggenda e mistero foto

di Valerio Vallini
La Val di Chiecina prende il nome da un torrentello, il Chiecina, che si biforca in Chiecina e Chiecinella all’altezza del podere Pozzo. Il torrente nasce nei pressi del podere S. Andrea, nel comune di Palaia, ad un’altitudine di 280 metri e si versa in Arno presso il cascinale Santo, nel comune di Montopoli.

Segna approssimativamente il confine di sud-ovest fra San Miniato e Montopoli. Copre un territorio che dalla valle del torrente Vaghera (nome di origine etrusca Vacra), scende verso sud per Stibbio e Montebicchieri e sotto Bucciano, da dove raggiunge le località La Vallina e il Purgatorio. Da Stibbio a Montebicchieri a destra della strada, verso sud-est, la valle lambisce le alture di Montalto, Comugnori e Poggio Grosso, dove ancora oggi, sul terreno, si trovano resti di laterzi e ceramiche medievali che testimoniano l’esistenza di molti villaggi sulle alture. Andando verso sud, si incontra la zona della Germagnana Alta, fitta di colline dall’ aspetto selvatico e rupestre che raggiungono i 170 metri di altezza con vegetazione di querci, castagni e ulivi. La vallecola di Gabbiano, a sud di Montebicchieri, conserva ancora oggi il piccolo oratorio di San Pietro in Gabbiano, segnalato nell’estimo lucchese del 1260. La Chiecina che dirama poi in Chiecinella, conduce nella parte più suggestiva, verso i resti del castello di Pratiglioni e soprattutto a ciò che resta della ‘protoromanica’ Pieve di Barbinaia.

 

Se calandoci nei panni di un esploratore, curioso di luoghi e di leggende, ci si affaccia dalla parte più alta della chiesa di S. Lucia in Montebicchieri verso sud, si gode un bellissimo panorama sui boschi fitti di un sapore romantico per il prevalere della macchia e dei roveti. In questi boschi, narra una leggenda, furono uccisi due cugini amanti: Wilfredo ed Erminia della Gherardesca. La versione ufficiale della loro morte fu attribuita, dalle voci del tempo, ad un gruppo di ribelli al soldo dei Mangiadori di San Miniato. Wilfredo sarebbe stato ucciso nel tentativo di difendere Erminia. Niente di più falso, dichiarano altre fonti rintracciate negli archivi del vescovato lucchese.
E’ vero che i Mangiadori attaccarono il castello, ma mentre i due amanti fuggivano, lo zio Walpurgo prese l’occasione per liberare dall’infamia della loro relazione la corte castellana e, insieme, assicurarsi di non avere giovani concorrenti sui vasti possedimenti. Un’altra versione del fattaccio, vuole lo zio Walpurgo perdutamente invaghito della bella Erminia che si era decisa a votarsi monaca fra le agostiniane di Santa Cristiana a Santa Croce sull’Amo.

Ma la storia più intrigante, avvenuta in queste selve, è quella che vuole che un crociato, proveniente dal porto di Pisa, e salito su per la Valdera, sia venuto a morire nella pieve di Barbinaia allora potente e ricca. Di sicuro, da Barbinaia salendo per Bucciano e poi prendendo la Val d’Egola, si poteva raggiungere la Val d’Elsa e poi Siena e Roma. Ma perché un percorso così tortuoso quando l’allora via romana-pisana, oggi Tosco-romagnola, conduceva agevolmente all’Osteria Bianca (odierna Ponte a Elsa) e di là verso Siena e Roma? Il crociato i cui resti pare che siano stati sottratti pochi anni or sono dalla cripta di Barbinaia, serbava, si dice, un segreto immenso, destinato al Papa, allora Innocenzo VIII. Si trattava di manoscritti provenienti dalla Terrasanta e che, se fossero caduti in mani miscredenti, avrebbero falsato la storia di Cristo. E dunque per fuggire all’imperatore, l’anonimo crociato lasciò le vie note e si avventurò in questa valle della Chiecina e fu ucciso nell’antica pieve. Chi sa che in quei boschi, in qualche urna di marmo o in muro murato, non si nasconda quel segreto?

Comunque sia, chi scenda da Bucciano per Barbinaia, o chi da quella salga, emerge o s’immerge nel tempo: un tempo misurabile in secoli. E lasciamo al viaggiatore il gusto e l’avventura di scoprire altri luoghi ed altre leggende che affiorano per tutta la valle dal podere di S. Andrea fino a Marti e a Stibbio, fino al podere Pozzo della sorgente del Tesorino. Può bastare un nome, l’inciampo in un coccio o un frammento di lapide, perché nuove storie emergano e con esse, nuove vicende vissute, una pagina in più nella storia di questi luoghi.

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