In Valdera comitato per il No alla riforma costituzionale

Prende il via la campagna in vista del referendum costituzionale d’autunno, ed in Valdera il primo passo è per il “no”. Nei locali della sala capo gruppo del Comune di Pontedera, infatti, questa mattina 12 dicembre ha mosso ufficialmente i primi passi il comitato locale aderente al Coordinamento Democrazia Costituzionale. Un gruppo di lavoro che già da ora vanta numerose adesioni dalle parti sociali: Partito della Rifondazione Comunista, Possibile, Movimento 5 Stelle, SEL – Sinistra Italiana, Legambiente Valdera, Forum Acqua Valdera, Associazione Teatrale Cantieri Osso Del Cane (C.O.D.C), Lista civica “Insieme per Calcinaia Bene Comune”, Lista civica “Per una svolta in Comune”, RSU-FIOM Piaggio, associazione politico culturale La Rossa, Cobas.

In via di definizione le adesioni di Anpi ed Arci Valdera (che almeno a livello nazionale hanno già aderito al fronte del “no”), Fiom, Cgil, Usb. “Ovviamente tutte le associazioni, circoli, partiti e, soprattutto, i cittadini sono invitati a dare la loro adesione ed il loro fattivo contributo al nascente comitato – scrivono congiuntamente i primi aderenti – che ha come compito quello di informare tutti gli italiani delle conseguenze che produrranno sul sistema democratico del nostro paese le due “deforme” che sono state portate avanti dal governo Renzi a tappe forzate, in un Parlamento eletto con una legge dichiarata incostituzionale, senza sentire l’esigenza, almeno, di un largo e democratico confronto preventivo. Nel nostro paese questo governo sta facendo profonde modifiche dell’assetto politico-istituzionale, attraverso una vasta revisione della Costituzione ed una nuova legge elettorale destinate, purtroppo, ad incidere negativamente sulla qualità della democrazia e sui diritti dei cittadini. Ciò avviene ridimensionando la centralità del suffragio diretto e del Parlamento, quale istituzione rappresentativa della sovranità popolare,alterando le garanzie del bilanciamento dei poteri e realizzando una inusitata concentrazione di poteri nelle mani dell’Esecutivo espresso da un unico partito e in particolare esaltando il ruolo dominante del Presidente del Consiglio, nel quadro di un generale soffocamento delle autonomie regionali e locali. Noi che, la riforma costituzionale, la vediamo gravida di conseguenze negative, non ci aggrappiamo alla Costituzione perché è “la più bella del mondo”. Sono gli zelanti artefici della riforma che usano quell’espressione per farci sembrare degli stupidi conservatori e distogliere l’attenzione dalla posta in gioco. La posta in gioco è la concezione della vita politica e sociale che la Costituzione prefigura e promette, sintetizzandola nelle parole “democrazia” e  “lavoro” che campeggiano nel primo comma dell’art. 1. Molte volte sono state chiarite le radici storiche e ideali di quella concezione, perfettamente conforme alle tendenze generali del costituzionalismo democratico, sociale e antifascista del II dopoguerra.

Quali credenziali possono esibire gli attuali legislatori costituzionali? A parte la questione, bellamente ignorata, dell’incostituzionalità della legge elettorale in base alla quale essi sono stati eletti; a parte la falsificazione delle maggioranze che quella legge ha comportato, senza la quale non ci sarebbero stati i numeri in Parlamento; a parte tutto ciò, la domanda che deve essere posta è: quale visione della vita politica li muove? A quale intento corrispondono le loro iniziative? C’è un “non detto” e lì si trovano le ragioni di tanta enfasi, di tanto accanimento, di tanta drammatizzazione che non si giustificherebbero se si trattasse solo di riduzione dei costi della politica e di efficientismo decisionale. La posta in gioco non è di natura economica e funzionale (risparmiare sui costi e sui tempi delle decisioni). Se fosse solo questo, si dovrebbe trattare la “riforma” come una riformetta da discutere tecnicamente, incapace di muovere acute passioni politiche. Invece, c’è chi la carica d’un significato eccezionale, si atteggia a demiurgo d’una fase politica nuova e dice d’essere pronto a giocarsi su di essa perfino il proprio futuro politico. La partecipazione politica che dovrebbe potersi esprimere nella veritiera rappresentazione del popolo, cioè in Parlamento, a partire dai bisogni, dalle aspirazioni, dagli ideali non è più considerata un valore democratico da coltivare, ma un intralcio. Così, del fatto che la metà degli elettori sia lontana dalla politica al punto da non trovare attrattive nell’esercizio del diritto di voto, nessuno si preoccupa: pare anzi che ce ne si rallegri. Il fatto che i sindacati trovino difficoltà nel rappresentare i bisogni dei lavoratori, invece che a spingere a misure che ne rafforzino la capacità rappresentativa, induce ad atteggiamenti sprezzanti e di malcelata soddisfazione. Che i diritti dei lavoratori siano sottoposti e condizionati alle esigenze delle imprese, non fa problema: anzi il ritorno a condizioni pre-costituzionali si considera un fattore di modernizzazione. Che i partiti siano a loro volta ridotti come li vediamo, a sgabelli per l’ascesa alle cariche di governo e poi a intralci da tenere sotto la frusta del capo e di coloro che fanno cerchio attorno a lui, non è nemmeno da denunciare con più d’una parola. A questa desertificazione social-politica corrisponde perfettamente la legge elettorale. Essa dovrebbe servire a incoronare “la sera stessa delle elezioni” il vincitore, cioè il capo politico che per cinque anni potrà governare controllando il Parlamento attraverso il controllo del partito di cui è capo. La piramide si è progressivamente rovesciata e non abbiamo fatto il necessario per impedirlo. La democrazia dalle larghe basi voluta dalla Costituzione è stata sostituita da un regime guidato dall’alto dove si coagulano interessi sottratti alle responsabilità democratiche. L’informazione si allinea; la vita pubblica è drogata dal conformismo; gli intellettuali tacciono; non c’è da attendersi alcuna vera alternativa dalle elezioni, pur se e quando esse si svolgano, e se alternative emergessero dalle urne, sarebbe la pressione proveniente da fuori (istituzioni europee, Fondo monetario internazionale, grandi fondi d’investimento) a richiamare all’ordine; nella scuola si affermano modelli verticistici e i nostri studenti e i nostri insegnanti gemono sotto programmi ministeriali finalizzati a produrre non cultura ma tecnica esecutiva. Per difendere la nostra democrazia nata in Italia con la lotta di resistenza al nazi-fascismo, per non ricadere in logiche da partito unico al potere,  ma soprattutto per informare e discutere con tutti gli italiani affinché tutti sappiano qual’e’ la posta in gioco per la nostra vita futura e per quella dei nostri figli. Per questo nasce il Comitato Locale della Valdera che chiede a tutti i cittadini di partecipare attivamente ai suoi incontri ed alle sue riunioni ed alle iniziative pubbliche che riusciremo a fare con l’aiuto di tutte le persone interessate”.

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