Con “Quasi una vita” il Teatro Era e la sua storia in scena foto

Storia d’amore e di teatro, in quel di Pontedera. Si snoda sul filo della biografia artistica ed esistenziale di una generazione di attori in Valdera l’ultimo spettacolo di scena al Teatro Era Quasi una Vita. Scene dal Chissàdove, che andrà in scena in prima nazionale al 18 al 22 aprile con la regia di Roberto Bacci che cura la drammaturgia insieme a Stefano Geraci e con l’interpretazione di Giovanna Daddi, Dario Marconcini, Elisa Cuppini, Silvia Pasello, Francesco Puleo e Tazio Torrini.

Una vita di teatro e sperimentazione fuori e dentro la quotidianità. Ma anche “una riflessione sull’amore, il teatro, la malattia, la vecchiaia e l’attesa della definitiva partenza per il Chissàdove” che prende spunto dai ricordi di Dario Marconcini e Giovanna Daddi, una coppia nella vita, nell’intimità delle mura domestiche, così come nell’arte. Un’esistenza insieme dedicata a una passione vera: il teatro. “Un’opera che è una menzogna – la decrive Roberto Bacci. – Perché la vita, malgrado i nostri sforzi e la buona volontà, è una menzogna a cui non sappiamo o possiamo opporre una verità. Dopo mesi di domande e di confessioni raccolte dalla vita di Dario e Giovanna, abbiamo tentato di osservare, attraverso il riflesso della loro esistenza, noi stessi. Tradurre un bagaglio così ricco e pesante per renderlo in teatro è stato un insegnamento su come la scena può essere ‘filosofia in atti’ “. Sorta di biografia “esistenzialmente ragionata” che parte e racconta il sodalizio storico e artistico di Roberto Bacci con Giovanna e Dario, che affonda le radici negli anni ’70, quando facevano parte di un piccolo gruppo di dilettanti temerari e visionari, ispirati dal Living Theatre di Julian Beck e Judith Malina. Dario Marconcini, che insieme a Roberto Bacci ha fondato il Teatro di Pontedera e ha contribuito a rendere a Pontedera una capitale periferica della cultura, pensato in grande, fatto di legami veri, primo fra tutti con l’Odin Teatret e poi con Jerzy Grotowski. Una riflessione, quindi, anche sulla vita di teatro.
“Se fosse stato cinema, questo spettacolo si sarebbe potuto ascrivere al genere biopic, quella fiction che si fonda su biografie reali, oggi di nuovo in voga e in alcuni casi con esiti molto suggestivi. – spiega Stefano Geraci. – La preparazione, almeno, è stata analoga. Abbiamo raccolto e registrato i racconti biografici di Dario Marconcini e Giovanna Daddi, attori e amici di lunga data con una intensa storia di teatro e vita in comune lunga quasi sessant’anni. Il motivo di questa scelta non è stato però quella di raccontare le loro vite, ma di attraversarle insieme. Avevamo alcune domande con noi. Cosa resta delle nostre vite quando ci volgiamo indietro e ci chiediamo: cosa abbiamo combinato? E il teatro ci concede un tempo per intravedere un disegno nei passi che abbiamo compiuto e che casomai abbiamo calpestato maldestramente senza neanche accorgercene? Forse la parola più adatta per descrivere questo lavoro è “congedo”, così come si usa nella poesia in forma di canzone: quei versi finali in cui l’autore rivolgendosi a se stesso chiede ai lettori di farsi carico dell’ombra del poeta, attraverso la vita dei suoi versi”.
“Un attore nell’incarnare un personaggio, quale che sia, Prospero o Rogozin, Medea o Antigone, mette sempre qualcosa di sé; ma in questo testo non esiste nessun filtro protettore: non c’è il personaggio dentro il quale nascondersi – dicono, invece, Dario Marconcini e Giovanna Daddi. – Parliamo di noi stessi, siamo chiamati col nostro nome, siamo lì sulla scena in prima persona, indifesi, ci confessiamo, mettiamo a nudo episodi della nostra vita fatta di ricordi familiari, di viaggi ,di pièce di teatro, con il pericolo di essere esibiti come l’orso davanti a Topkapi. Eppure questo non è un autodafé né una seduta psicanalitica. È invece come il ritorno a casa, ritroviamo con gioia, dopo tante esperienze teatrali lontane, Roberto e Pontedera, è come se il cerchio si ricomponesse. Il rimosso della nostra vita è però lo spunto per portarci in altri territori ben più pericolosi e misteriosi oltre a farci toccare con pudore, rabbia e timore il senso degli anni che passano e l’enigma dell’ignoto che ci aspetta. In questo viaggio quasi iniziatico ci accompagnano con generosità quattro attori amici pronti a suscitare e a sostenere le diverse tappe. Dobbiamo ringraziare Roberto e Stefano che con pazienza, nei lunghi incontri a casa nostra, sono riusciti, facendoci ritrovare oggetti dimenticati, foto, testi, a ricomporre il nostro patrimonio dell’anima, prima che esso andasse a perdersi”.

Nilo Di Modica

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