Fa causa per le fogne, le ordinano di demolire annesso

Una storia che ha dell’incredibile e che rischia di diventare una vera guerra di carte bollate da far combattere agli avvocati a colpi di codice civile. Tutto comincia quanto una residente nel comune di Montopoli Val d’Arno in via del Lavatoio intenta una causa civile contro il Comune perché sostiene che il malfunzionamento della fognatura abbia causato dei danni alla sua proprietà oltre che fastidiosi odori.

Il tribunale decide di fare un sopralluogo, il giudice nomina un suo perito che, accompagnato dai due tecnici di parte, uno del comune l’altro della cittadina, si recano nella sua proprietà. Proprio mentre stanno facendo il sopralluogo, il tecnico del Comune nota un manufatto che a suo dire non risulta in possesso del titolo edilizio e non in regola con i vincoli paesaggistici. Da lì scaturisce un’ordinanza di demolizione. Mentre la causa al tribunale civile va avanti e deve ancora arrivare a una sentenza, la proprietaria dell’immobile impugna l’ordinanza del comune davanti al Tar aprendo un secondo fronte giudiziario, rivendicando le sue ragioni e sostenendo che il manufatto, un annesso agricolo nella sua proprietà, sia perfettamente in regola. In questo caso la giustizia del Tribunale amministrativo viaggia più spedita di quella civilistica: in breve tempo, il Tar prima accorda una sospensiva e poi annulla l’ordinanza dando ragione alla cittadina, visto che il comune non è riuscito a dimostrare in modo esaustivo e univoco il presunto reato edilizio. Non solo il municipio che era partito con l’idea di vincere la causa al Tar ora dovrà pagare le spese e gli altri oneri di legge: circa 5mila euro dei quali non dispone, visto che durante l’ultimo consiglio comunale questo debito è stato recepito come fuori bilancio. Interessante anche il motivo della sentenza, secondo il quale tutto verterebbe sul fatto che il Comune non è riuscito a dimostrare che quel fabbricato era abusivo, come invece contestato.
La disputa davanti al Tar si è giocata soprattutto sui tempi. Secondo i legali della cittadina, la costruzione dell’annesso sarebbe precedente al 1967, vale a dire a prima dell’entrata in vigore della legge 765 che rese obbligatorio il rilascio del titolo edilizio. Secondo l’amministrazione, invece, la costruzione del manufatto sarebbe avvenuta in epoca successiva, dal momento che nel 1972, durante il sopralluogo dell’ufficiale sanitario incaricato di accertare l’agibilità dei locali adibiti a civile abitazione, non si fa menzione dell’esistenza dell’annesso agricolo.
Una tesi, quest’ultima, che il Tar ha bocciato parlando di “insufficiente attività istruttoria da parte dall’amministrazione”. Insomma, il Comune avrebbe presentato un indizio anziché una prova vera e propria. L’accertamento dell’ufficiale sanitario, infatti, era diretto ad un altro “abuso specifico”: se in quell’occasione, spiega il Tar, il manufatto non fu rilevato, non significa che debba necessariamente essere considerato abusivo. Non solo: “L’amministrazione – aggiungono i giudici amministrativi – non ha svolto alcuna indagine diretta a datare la realizzazione del manufatto, limitandosi ad operare un ragionamento meramente deduttivo”. Nella sentenza, poi, si fa notare che in occasione dell’autorizzazione per l’ampliamento di un pollaio e di un lavatoio annessi all’abitazione (questa autorizzata dal Comune con una licenza del 1974) il titolo paesaggistico della Soprintendenza contiene nell’elaborato grafico anche l’annesso rurale contestato. Per il Tar, in sostanza, siamo in presenza di “comportamenti inequivocabili, che portano a ritenere che l’amministrazione fosse perfettamente a conoscenza di questa struttura”. Troppo “generica”, infine, a detta del Tar, l’ordinanza di demolizione in cui si intima alla controparte di far sparire “qualsiasi altra opera difforme dagli strumenti urbanistici”.
Da qui la sentenza, che ha condannato il Comune al pagamento delle spese di lite (3500 euro) oltre agli oneri di legge per un totale di oltre 5mila. “Stiamo valutando se ricorrere al Consiglio di Stato – afferma il sindaco Giovanni Capecchi – perché secondo noi ci sono tutti i presupposti. Agli atti del Comune, infatti, risultava solo un titolo edilizio riferito ad un ampliamento, ma che non ha niente a che fare con l’annesso agricolo risultato privo di autorizzazione sia a livello edilizio che paesaggistico. Da parte nostra è stata una strada obbligata: il perito non poteva far finta di non vedere. Noi siamo convinti di aver agito nella correttezza e nella regolarità”.

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