Da 5 a 9 anni di carcere per il crac della Primavera 90

Da 5 a 9 anni di reclusione per gli imputati del processo legato al crac della cooperativa Primavera 90. Il tribunale di Firenze ha ritenuto colpevoli, a vario titolo, tutti gli ex dirigenti della cooperativa con sede a Montelupo, in gran parte imparentati fra loro, nel processo per bancarotta fraudolenta scaturito da una denuncia per truffa presentata da alcune famiglie del comune di Calcinaia.

La stessa cooperativa, infatti, è nota nel comprensorio per l’ormai celebre area Peep di Ponte a Egola, dove alcune famiglie (analogamente a quanto avvenuto a Fornacette) hanno versato le quote per l’acquisto dell’immobile senza che il rogito venisse mai depositato dal costruttore: in pratica, avevano pagato per una casa che alla fine non gli appartiene. Ora il tribunale di Firenze ha condannato Olinto Pagliai (amministratore delegato della coop) a 9 anni di reclusione, mentre 7 e 5 anni sono andati rispettivamente al Filippo Pagliai, amministratore unico e alla figlia Elena. Altri 6 anni per Alessio Zetti di Prato (socio di una società riconducibile a Pagliai secondo l’accusa) e altrettanti a Sandro Terramoto, genero di Olinto Pagliai. Il
tribunale ha anche interdetto in perpetuo dai pubblici uffici i cinque imputati, riconoscendo provvisionali per il risarcimento danni per oltre 2 milioni di euro.
La Primavera 90, sottoposta dal 2010 alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, fu poi dichiarata insolvente dal tribunale di Firenze nel dicembre dello stesso anno. Secondo l’accusa, sostenuta in aula dal pm Paolo Barlucchi, la famiglia Pagliai avrebbe spogliato la cooperativa dei suoi beni sociali, a cominciare proprio dagli appartamenti nelle province di Firenze e Pisa, attraverso alienazioni a società riconducibili alla stessa famiglia, per trarne un ingiusto profitto. A farne le spese quei cittadini che, a causa del crac, rischiano di perdere le case, finite o in costruzione, già pagate in tutto o in parte, alle quali si aggiungono le somme previste per i rogiti notarili che per l’accusa non sarebbero però mai stati effettuati.
Per Olinto e Filippo Pagliai, inoltre, l’accusa era anche di aver tenuto libri e altre scritture contabili con dati inattendibili, in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e delle movimentazioni finanziarie.

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