“Basta linciaggio mediatico”, la verità della famiglia Zini

“Il drammatico epilogo rende sicuramente sterile ogni tentativo di ricostruzione dei fatti che deve esser lasciato, semmai, nelle mani degli inquirenti (dal punto di vista penale, il reato è estinto con la morte di Federico, ndr) e impone una doverosa attenzione alle affermazioni e al linguaggio utilizzato nei confronti delle persone coinvolte. Motivo per il quale la famiglia Zini, si riserva sin d’ora il diritto di tutelare le proprie ragioni nelle più opportune sedi”. Si conclude così una lunga lettera aperta inviata dalla famiglia Zini, che ha scelto di rompere il silenzio nel quale si era trincerata dopo il funerale di Federico e la costituzione della Fondazione Federico Zini, in corso di riconoscimento ma oggetto di una petizione e di prese di posizioni nette nei consigli comunali di San Miniato e Prato, città della famiglia di Elisa Amato. 

In quel silenzio, scrive Maurizio Zini anche a nome della propria famiglia, avevano “invano riposto l’illusione di poter trovare la forza di riuscire ad andare avanti dopo quel drammatico episodio”. Molte, a questo punto, le cose da dire.
“Il primo riferimento è alla Fondazione intitolata Federico Zini, in corso di riconoscimento, che sin da subito, ha suscitato grandi polemiche sfociate altresì in interrogazioni regionali e interpellanze comunali che hanno reso opportuno, da parte nostra, un iniziale momento interlocutorio con le Amministrazioni locali, sfociate nell’invio di un comunicato che ne chiarisse, una volta per tutte, l’oggetto sociale perseguito. Definita come ‘una fondazione contro la violenza sulle donne’ è stata oggetto di numerosi linciaggi mediatici che hanno portato ad attacchi gratuiti e a pesanti accuse mosse nei confronti della nostra famiglia: gli haters e i nuovi ‘Giuda Digitali’ mai e sottolineo mai, si sono preoccupati di documentarsi, circa le basi e le reali finalità della Fondazione Federico Zini, definita in maniera fuorviante ed errata come ‘un ente antiviolenza’. Si ricordi che la stampa già pubblicava il nome esatto Fondazione Federico Zini, fin dal 26 marzo 2017 ed aggiungo che la formale costituzione, era prevista già da tempo. Non è nostra intenzione – e purtroppo ancor prima, in nostro potere – rimuovere verità o responsabilità; alla famiglia di Elisa Amato abbiamo espresso fin da subito, il nostro profondo dolore e richiesta di perdono per un gesto che, anche pubblicamente, abbiamo condannato e sempre condanneremo. E’ sicuramente nostra ferma intenzione, difendere i nobili obiettivi che che la Fondazione ha perseguito e che intende perseguire. La Fondazione Federico Zini è l’impegno della nostra famiglia e di tutti i familiari, insieme agli amici e a tanti uomini e donne di buona volontà, a portare avanti le attività sociali e benefiche che Federico, insieme al fratello fin dal 2016, è riuscito a realizzare attraverso il progetto Un Pallone per un Sorriso, che registra sul web complessivamente circa 22.700 follower, nato dall’idea di raccogliere fondi tramite la vendita, realizzata per mezzo di aste on line, delle maglie indossate e firmate da giocatori di serie A, B, C e campionati esteri, destinando il ricavato ad associazioni e fondazioni di beneficenza dedicate all’aiuto dei minori colpiti da gravi patologie cliniche. Una iniziativa che portava avanti anche obiettivi di sensibilizzazione e prevenzione di tutti quei fenomeni legati a tematiche di degrado e violenze, perpetrare nei confronti di soggetti accomunati da uno stato di debolezza -derivante dall’età, dalle condizioni di salute… – e, quindi, casi di emarginazione sociale, cyberbullismo, adescamento sul web…
Scopo di questa Fondazione non è certo suscitare sterili e denigranti polemiche tra i media, né come è stato detto ‘mancare totalmente di rispetto a qualcuno’ né tantomeno ingolfare l’attività di alcuni consiglieri, presi a redarre interpellanze da inserire nell’ordine del giorno dei lavori delle Amministrazioni, ma quello di dare seguito ad una attività nobile, iniziata dai nostri figli, fin dal settembre 2016 per la quale Federico, in occasione della presentazione di Un Pallone per un Sorriso rilasciò un messaggio che si ritiene debba esser condiviso: ‘Mi sono avvicinato molto a questo ambiente, dopo ciò che mi è gravemente successo e quando frequenti molti ospedali e vedi tantissime persone che sorridono sempre, anche se hanno problemi più seri del mio. È proprio vivendo queste circostanze, che ho avuto l’idea di far qualcosa per regalare sorrisi oltre che far avverare i loro sogni e così è nata l’iniziativa Un Pallone per un Sorriso insieme a mio fratello Lorenzo. Ho deciso quindi di unire la mia grande passione per il calcio alla beneficenza, perché volevo riuscire a dare qualche sorriso in più a questi bambini’. Un obiettivo portato avanti nel corso degli anni, un obiettivo che attraverso le nostre future donazioni e i progetti delle onlus prescelte, potrà portare il sorriso a chi, nella propria vita, ne ha ancora bisogno.
Si rende altresì necessario, anche alla luce della lettera di diffida pervenuta alla nostra famiglia, da parte del legale della famiglia Amato, chiarire gli addebiti che ci sono stati mossi. Tale necessità è imposta dalla divulgazione data alla lettera dell’avvocato, comparsa per esteso sulla maggior parte dei quotidiani locali. Anziché rimanere nella sfera di conoscenza delle parti, come si auspica che accada ogni volta in cui interviene un legale (che scrive una lettera per i propri assistiti per poi ricevere una risposta dalla ‘controparte’), si è scelto la strada della pubblicità e dei mass media abbandonando quel profilo di riservatezza che, seppur soltanto in minima parte, potrebbe tutelare il dolore delle famiglie colpite da questa immane tragedia. Soluzione che, anche il legale della famiglia Amato sembrava condividere, tanto che nella diffida divulgata si premurava di scrivere: “come ben sa la famiglia che rappresento […] ha inteso mantenere un profilo di assoluta riservatezza, scegliendo di vivere questa tragedia, pur avendone il sacrosanto diritto, senza puntare il dito pubblicamente nei confronti di Federico e tanto meno della sua famiglia, nella convinzione della sterilità di un diverso atteggiamento’ (così come riportato altresì da un quotidiano di Prato). La pubblicità data alla notizia e le accuse che sono state mosse, continuano ad alimentare un linciaggio mediatico, nei confronti della nostra famiglia subito nel momento più drammatico della nostra vita, costringendoci a prendere una posizione su di un episodio doloroso di cui neppure noi, riusciremo mai a darci una risposta. Come già scritto sopra non è nostra intenzione – e purtroppo ancor prima, in nostro potere – rimuovere verità o sminuire la responsabilità di nostro figlio. Non corrisponde al vero l’affermazione del legale della famiglia Amato quando scrive che la famiglia di Elisa, non ha mai puntato il dito pubblicamente nei confronti di Federico; nonostante il profondo dolore condiviso con la famiglia, siamo rimasti in silenzio nell’ascolto di varie interviste che, definendo Federico come uno stalker o una persona disturbata, hanno raccontato una storia tra i due ragazzi diversa da quella che conoscevamo noi. I ragazzi per quello di cui siamo a conoscenza, così come abbiamo riferito all’Autorità giudiziaria, si sono frequentati sino al mese di maggio 2018, non si erano lasciati da un anno. Viaggi, cene e progetti facevano parte della loro vita, come di quella di tanti altri ragazzi della loro età e di tanti amici che li frequentavano. Siamo stati accusati di non esserci resi conto di avvisaglie conclamate che avrebbero permesso di evitare tutto questo. Addirittura Selvaggia Lucarelli, che si è presa la briga (forse in veste di opinionista) di occuparsi di questa vicenda, è arrivata a riportare sul proprio profilo facebook una circostanza del tutto falsa ed infondata, secondo cui la vittima “aveva chiamato tante volte la madre di lui, lei aveva minimizzato” paventando così una qualche responsabilità in capo alla nostra famiglia ed allo stesso tempo esponendola a forti e duri attacchi totalmente arbitrari”.

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