Greenaccord, “Accordo contro il cambiamento climatico” foto

“Promuovere un nuovo accordo globale sull’approccio al paesaggio per trovare soluzioni al cambiamento climatico”. Questo è l’obiettivo tracciato dagli esperti intervenuti alla prima giornata di lavori del 15esimo Forum Internazionale Greenaccord dell’informazione per la Salvaguardia della Natura dal titolo “Il respiro della terra: le foreste”, organizzato a San Miniato in collaborazione con la Regione Toscana. Un accordo che superi e integri tutte le convenzioni ambientali in un unico atto che impegni gli Stati sovrani a mettere le tematiche ambientali al centro delle scelte politiche. “La scorsa settimana – ha raccontato il presidente di GreenAccord Alfonso Cauteruccio – ero a un convegno di 3 giorni con studiosi dall’Amazzonia. In Brasile hanno creato una parola: forestadinanza, hanno unito foresta e cittadinanza. Questo è lo spitito: sentire la foresta come una casa che ci appartiene”.

 

“Ogni minuto – continua Cauteruccio – la deforestazione priva il mondo di una superficie pari a tutti i campi da calcio di Serie A e Serie B messi insieme. Un dramma globale dovuto soprattutto alla agricoltura intensiva e alle attività estrattive e minerarie. Il sistema economico odierno, che si basa su produzione consumo scarto è un mostro vorace che si sostenta con sempre maggiori risorse che la natura non riesce a rigenerare in tempi veloci e in così grandi quantità. E quando gli interessi economici prevalgono su quelli naturali le conseguenze sono il degrado del territorio, la massiccia perdita di biodiversità, le falde acquifere inquinate e le popolazioni indigene che spesso devono abbandonare i loro territori”.
“Ogni azione che adottiamo genera la possibilità di creare disuguaglianze o al contrario di colmarle – ha spiegato Salina Abraham, coordinatrice del Global Landscapes Forum dell’Eritrea. È per questo che devono esistere diritti inalienabili come il diritto alla terra e alla sua gestione sostenibile o il diritto all’acqua pulita”. Per realizzare questi impegni occorre investire “sul futuro della terra facendo leva sulle nuove generazioni che sono la nostra ultima opportunità” ha detto l’ambientalista eritrea. “Nella nostra rete contiamo più di 50mila giovani attivisti che hanno mobilitato milioni di persone in tutto il mondo che conoscono l’importanza della piantumazione degli alberi giusti nel posto giusto. Noi non piantiamo solo alberi, piantiamo cambiamento e futuro per le nostre comunità e in questo modo piantiamo nuova speranza”.
Agricoltura, biodiversità ma anche attività di conservazione e prevenzione sono compiti che in Italia ha l’Arma dei Carabinieri. Come spiegato dal generale Davide De Laurentis, vice comandante delle unità Forestali Ambientali Agroalimentari, “parlare di problematiche ambientali significa porre l’attenzione sullo stile dei consumi e sui modelli di sviluppo attuali che vanno rivisti. Serve una rivoluzione copernicana capace di inserire all’interno del calcolo dello sviluppo dei Paesi il valore capitale naturale conservato”. In Italia, ha ricordato il generale dell’Arma, “rappresentiamo un presidio della legalità per evitare la distruzione della biodiversità. Lo facciamo attraverso il controllo del territorio e l’attività di prevenzione e repressione dei reati ambientali e delle connesse alterazioni degli habitat”. Spesso il rispetto della legalità non basta per far crescere la consapevolezza di un comportamento responsabile nei cittadini e per questo accanto all’attività repressiva e al controllo “occorre affiancare un approccio di accompagnamento ai comportamenti virtuosi che cambino l’approccio al paesaggio e all’ambiente in tutti i cittadini”.
All’attività di comando e controllo messa in atto dalle istituzioni si affianca il lavoro di certificazione, intesa come procedura per verificare e assicurare che i prodotti forestali siano tracciati lungo tutta la filiera di trasformazione. A spiegare questa procedura è stato Mauro Masiero, ricercatore del dipartimento territorio e sistemi agroforestali dell’Università di Padova. “Secondo i dati ufficiali più di tre milioni di ettari di foreste ogni anno vengono perduti. La deforestazione è dovuto a un’azione antropica, alla malagestione delle foreste, a fattori naturali o a cambiamenti di soprassuolo”. Da questo punto di vista “l’estrazione di legno non è l’unico elemento di criticità anche se sappiamo che la dimensione di illegalità, taglio e commercio di legno è valutato tra il 15% e il 30% del legno presente sul mercato”.
Per Douglas McGuire, coordinatore tutela e ripristino della Foresta e del Paesaggio della Fao, “la deforestazione è la seconda causa di cambiamento climatico dopo i combustibili fossili. Basta considerare i due miliardi di Co2 che ogni anno vengono assorbite dagli alberi che diventano un deposito di carbonio”. Ma il cambiamento climatico non è l’unico elemento: “Entro il 2050 – ha spiegato il rappresentante della Fao – raggiungeremo dieci miliardi di persone e dovremo garantire il 50% di alimenti più, con tutte le conseguenze che ciò comporta”. Quanto alle foreste artificiali “bisogna cogliere la loro importanza e necessità, nonostante non garantiscano lo stesso livello di biodiversità. Tuttavia in alcune aree del pianeta si potrebbe usare la piantumazione per rispondere alle esigenze di alcune realtà, magari alleviando la pressione sulle foreste naturali”. Sul recupero delle foreste e del paesaggio, ha ricordato McGuire, “dobbiamo sostenere l’obiettivo di recuperare 350 milioni di ettari entro il 2020. Un obiettivo ambizioso sul quale molti Paesi si stanno impegnando con grande serietà”.
“I cambiamenti climatici non sono un tema astratto. Già oggi stanno impattando negativamente sull’economia della nostra industria del legno” ha ricordato Gabriele Calliari, presidente di Federforeste. Ultima prova in ordine di tempo, la tempesta Vaia che nell’ottobre scorso ha abbattuto 18 milioni di metri cubi di alberi, su un’area di 50mila ettari. “Ha già contributo ad abbassare il prezzo del legno e le conseguenze si potranno sentire anche nel medio periodo”. Fondamentale, secondo il presidente Federforeste, “usare questi eventi per ripensare le politiche forestali italiane: manteniamo in casa il nostro valore. Ridiamo vita alla filiera del legno, ricostruendola dal bosco alle segherie fino ai trasformatori finali”. L’obiettivo è superare un paradosso pericoloso: le aree coperte da boschi nel nostro Paese sono in continuo aumento eppure l’industria nazionale del legno usa, per l’80%, legno importato.
Un tema quanto mai attuale, quello della perdita incessante del patrimonio forestale mondiale, perché incide direttamente sulla vita delle persone. Ma spesso le complesse dinamiche che lo causano sono sottovalutate dai media. Primi responsabili l’agricoltura intensiva e le attività estrattive e minerarie.
“A preoccupare di più – per Cauteruccio – è senza dubbio la deforestazione nelle tre grandi aree del mondo con superficie forestale significativa: l’Amazzonia, il Congo e il sudest asiatico”. L’Amazzonia si estende su 9 nazioni diverse (Brasile, Venezuela, Ecuador, Bolivia, Colombia, Perù, Guyana, Guyana Francese e Suriname), rappresenta il 43% del territorio del sud America e fornisce il 20% dell’acqua dolce non congelata dell’intero pianeta e contiene al suo interno oltre il 35% della biodiversità mondiale. In Amazzonia vivono oltre 300 popoli indigeni, con 240 lingue diverse, per un totale di tre milioni di persone.
A declinare le conseguenze dell’impatto della deforestazione sul pianeta è stato Sergio Baffoni, coordinatore della campagna foreste per l’Environmental Paper Network (Italia). “L’impatto della deforestazione sul clima è devastante e ne fa la seconda fonte di emissioni di gas serra. Ma quello del clima non è l’unico impatto negativo, basti pensare al fatto che nelle foreste è presente l’80% delle biodiversità del pianeta e di queste ogni giorno oltre 250 specie scompaiono. Si tratta di un dramma che riguarda anche la vita di oltre un miliardo di persone che vivono nelle foreste e sono costrette ad emigrare ogni qualvolta parte un processo di desertificazione. Ogni annp, circa 200 persone vengono uccise per difendere queste aree. E il dato è in costante crescita”. Per combattere questo processo, ha concluso Baffoni, “occorrono strategie di governi nazionali anche se i governi spesso sono deboli rispetto alle grandi lobby industriali. Occorre rivedere le politiche di riciclo e riuso della carta, valorizzare la qualità della vita e non solo la quantità di merci che utilizziamo”.
Sulla stessa linea Marco Marchetti, professore ordinario di Assestamento Forestale e Selvicoltura presso l’università del Molise, che ha concentrato il suo intervento sugli ecosistemi presenti sulla Terra. “Stiamo vivendo un momento storico di sconnessione culturale. Dobbiamo tornare ad un stile di vita che ci riporti ai cicli di vita rurale che ci tenevano legati nel bene e nel male ai sistemi naturali”. Quanto all’impatto sul clima, Marchetti ha sottolineato come “se la temperatura fosse superiore ai 3 gradi potremmo coltivare cereali in Siberia con effetti evidentemente devastanti”. Occorre quindi avviare una rivoluzione culturale, “puntare sui giovani, parlare di foreste urbane, cambiare la cultura delle città, mettendo in atto cambiamenti di uso del suolo e degli stile di vita. Avere più verde non vuol dire riuscire ad assicurare le stesse funzionalità e servizi ecosistemici”.
“Quello delle foreste è un problema umanitario, oltre che ambientale, che ci fa tornare indietro al colonialismo, che si fonda su un non riconoscimento dell’esistenza di una cultura altra rispetto alla nostra”, ha sottolineato Andrea Masullo, direttore scientifico di Greenaccord. I popoli che vivono nelle foreste “non prevedono accumulo, vivono in equilibrio con il loro ambiente, esattamente all’opposto della nostra cultura che ha un atteggiamento predatorio e non di rispetto e conservazione dell’ambiente”, ha spiegato ai giornalisti presenti, provenienti da tutti i continenti del mondo. “Il popolo della foresta sa come utilizzare in modo sostenibile le risposte. Noi al contrario consumiamo senza criterio” e per questo “la nostra cultura è responsabile di gravi disastri come i cambiamenti climatici”, ha concluso Masullo.
Cruciali sono le politiche nazionali e internazionali su vasta scala. In tal senso emblematiche, anche per la vastità del territorio interessato, sono le scelte portate avanti dal governo cinese. “Pechino ha in questi anni ha messo in campo diverse iniziative per la tutela delle foreste con diversi programmi che vanno dalla piantumazione alla cessione dei terreni agricoli per la forestazione, con l’obiettivo di incrementare le aree verdi” ha spiegato Jinfeng Zhou, segretario generale China Biodiversity Conservation and Green Development Foundation (Cina). “Queste iniziative fanno della Cina il Paese leader per il recupero delle foreste”, ha ricordato Zhou. La piantumazione, tuttavia “ha portato ad una serie di problemi all’ecosistema, dal degrado del suolo allo squilibrio notevole sulle biodiversità. Le foreste artificiali sono diverse e per questo occorre lavorare di più sulla qualità”, ha ricordato l’ambientalista. “Per questo la nostra fondazione è impegnata a richiedere una modifica importante all’articolo 26 della Costituzione cinese che impegna il governo a sostenere la piantumazione e la costruzione delle foreste”.
“Siamo onorati – ha detto Vittorio Gabbanini, sindaco di San Miniato – di ospitare un convegno internazionale su temi ambientali verso i quali la nostra comunità è fortemente impegnata. Abbiamo saputo conciliare tutte le attività del nostro territorio mantenendo il rispetto dell’ambiente”. 

“Il patrimonio boschivo toscano – per l’assessore all’Ambiente della Regione Toscana Federica Fratoni – è un un asset da valorizzare ulteriormente. C’è bisogno di investire molto a sostegno delle attività imprenditoriali del settore. Per questo, come Regione, stiamo destinando somme importanti del Piano di Sviluppo Regionale con un accento particolare in favore dell’imprenditorialità giovanile e femminile. La silvicoltura può essere infatti un modo per recuperare professioni antiche, declinate ovviamente in versione moderna a partire dalla bioedilizia e dall’adeguamento antisismico”.

 

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