Il Borgo che vorrei è da laurea, Parrella all’Università

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Ma Parrella sale in cattedra per un giorno, all’Università per spiegare il Borgo che vorrei ai giovani studenti di uno degli atenei più prestigiosi d’Italia quello di Pisa. Proprio l’Università ha valutato il progetto sviluppato a Santa Maria a Monte come un modello unico in Italia, da studiare e replicare altrove , tanto che presto arriveranno le prime tesi di laurea proprio sul modello di recupero dei centri urani messo a punto dalla giunta Parrella e dagli uffici tenici del comune.
“Ma da dove avete presa l’idea? In Italia non ho trovato cose simili” questa è la prima curiosità che la professoressa Vanessa Manzetti, docente di istituzioni di diritto pubblico e di diritto amministrativo all’università di Pisa, porge a Ilaria Parrella, sindaco di Santa Maria a Monte, parlando del borgo che vorrei. “Siamo un’amministrazione fantasiosa” scherza Parrella. L’idea a cui si riferisce è quella che riguarda il progetto Il borgo che vorrei, avviato già nel primo mandato dell’amministrazione comunale e rilanciato nel secondo mandato grazie alla versione 2. del progetto. Lunedì mattina, Parrella e Simonetta Banti, la responsabile del settore finanziario del comune di Santa Maria a Monte, hanno presentato al Polo Piagge Il borgo che vorrei, ad un seminario che rientra nel corso di autonomie locali e servizi pubblici della facolta di scienze politiche. Dall’attuazione di una politica pubblica ne è scaturito il “modello Santa Maria a Monte” e il comune viene preso come caso studio da analizzare e, perché no, imitare. Ad invitare Parrella e Banti è stata la professoressa Manzetti, incuriosita dalla particolarità dell’istituto giuridico utilizzato per la realizzazione del progetto. Si parla infatti del cosiddetto baratto amministrativo, uno strumento introdotto dal decreto Sblocca Italia del 2014 che prevede la possibilità da parte dei privati cittadini di sanare i loro debiti con l’amministrazione comunale grazie a lavori di pubblica utilità. Nel caso di Santa Maria a Monte il baratto amministrativo era stato indirizzato al recupero e al riuso di immobili per valorizzare il centro storico e, grazie a questo istituto giuridico i privati hanno contribuito a creare e realizzare iniziative utili per la collettività, ricevendo in cambio delle agevolazioni fiscali.
Il progetto infatti nasceva come risposta ad un problema con cui Santa Maria a Monte combatteva lo spopolamento del centro storico della ‘Chiocciola’. Il modello elaborato da Parrella e dalla giunta approcciava il problema da vari punti di vista. Da un lato puntava a risolvere la questione dello spopolamento demografico, dall’altro quello della perdita di esercizio commerciali e fondi sfitti. Due facce dello stesso problema come si legge in qualunque manuale di urbanistica. Il Borgo che vorrei, nella completezza del progetto, ripartendo dal modello ecistico che vede nei negozi di vicinato e nei servizi la linfa vitale per una comunità ha declinato il baratto amministrativo in una logica kenisiana, per rimettere in moto il tessuto economico del borgo, ridare servizi e creare nuovamente la condizioni per la vivibilità dell’agglomerato urbano per la popolazione oltre che stimolare la rinascita di un senso di appartenenza. Un esperimento socioeconomico che ora comincia a dare i sui frutti nella varie direzioni del progetto.
“Nel 2016 presentammo cinque bandi che si basavano sul baratto amministrativo – spiega Parrella -. A Santa Maria a Monte Abbiamo una serie di fondi sfitti che non vengono utilizzati, il proprietario ha dei costi senza riscuotere l’affitto. L’agevolazione per il commerciante è quella di non pagare l’affitto per tre anni e il proprietario non paga la spazzatura. La comunità ne beneficia perché così ha un paese vivo. È chiaro, dopo i primi due anni c’è anche chi ha abbandonato l’impresa commerciale, un paio sono andati via, ma sono le dinamiche del commercio, ne entreranno di nuovi. Siamo un’amministrazione all’avanguardia” chiosa il primo cittadino non senza un certo senso di autoironia. Per capire come si è arrivati all’idea de Il borgo che vorrei, Parrella fa un breve excursus sulla posizione e sulla storia commerciale del suo comune, “Santa Maria a Monte è nel comprensorio del Cuoio, fino a qualche anno fa, o si lavorava nella pelle o si lavorava alla Piaggio. Poi, un po’ per la crisi nei due settori, un po’ per il problema dello spopolamento dei centri storici che ha colpito tutti i borghi, abbiamo sentito il bisogno di fare qualcosa per recuperare il commercio locale. Abbiamo fatto un accordo con le associazioni di categoria in modo tale che chi ha un fondo lo affitti a prezzi più bassi in cambio di agevolazioni sull’Imu e sulla Tasi. L’abbassamento della cedolare secca dal 21 al dieci per cento per gli affitti concordati ,sta portando persone a ripopolare il borgo. Altri sgravi riguardano le case familiari, magari acquisite con un’eredità e che a volte sono più un peso che un reddito”. Parrella sottolinea più volte come l’attuazione pratica del progetto è stata difficile. Il passaggio dall’idea alla realizzazione non è scontato e si imbatte in vincoli e cavilli burocratici non trascurabili. Inoltre, la difficoltà sta nel regolare un progetto multidisciplinare e trasversale a cui hanno partecipato molti uffici del comune. “Bisogna distinguere la parte tecnica da quella politica – dice la sindaca – la giunta, la parte politica, tiene le relazioni con i cittadini e serve a capire qual è l’impatto che una decisione può avere sul territorio. La parte tecnica attua i progetti, ma fatica nell’assolvere a questo compito per la mole di lavoro che ne scaturisce”. Per questo motivo, in rappresentanza della parte tecnica, a spiegare gli istituti giuridici in gioco è intervenuta Banti. “Noi – dice la responsabile del settore finanziario – abbiamo capito cosa voleva l’amministrazione e abbiamo cercato una via per la realizzazione. Anche il servizio tributi ha collaborato a questo progetto. L’istituto giuridico che ci poteva aiutare era il baratto amministrativo. Abbiamo capito che poteva essere il cittadino stesso il motore della ripresa del territorio, la filosofia di fondo del baratto è far sentire il cittadino attivo. Questo è lo spirito del baratto. Abbiamo creato un regolamento e a quel punto la giunta comunale ha dettato gli indirizzi e i campi di azione su cui potevamo intervenire. Tutto questo doveva rientrare nella contabilità pubblica, il Decreto legge che regola la contabilità pubblica per le regioni e per gli enti locali non è facile da interpretare e attuare. Tutto questo ha comportato un lavoro in più per l’amministrazione. Poi, il decreto legge 50, legge dei contratti, è entrata in vigore e ha confermato la nostra strada che noi, come comune, avevamo già intrapreso”. “Abbiamo fatto un bando in cui si chiedeva chi fosse interessato ad affittare un immobile – continua Banti -, abbiamo convocato gli interessati e abbiamo spiegato cosa fosse il baratto. Poi abbiamo fatto dei sopralluoghi. Il bando apriva due strade: una per gli immobili pronti all’uso e una per quelli soggetti a lavori di risistemazione. Questo ha portato a due percorsi con tempi diversi. Poi abbiamo fatto un altro bando per chi voleva aprire attività in quei fondi”.
“In tutto – dice Parrella – per dare un po’ di numeri, abbiamo aperto una ventina di attività e sei strutture turistiche con circa venti posti letto. È come avere un albergo in più nel paese”.
“Ho studiato molto bene il vostro regolamento e devo dire che mi sembra un progetto innovativo e senza precedenti – commenta Manzetti – si crea un bel rapporto col cittadino, che si sente partecipe e non grava sul bilancio comunale”. Le parole della ricercatrice e docente sono una sorta di sigillo di buona pratica certificate da una voce autorevole. Il riconoscimento di un lavoro che, indipendentemente dal risultato ottenuto, viene preso in analisi per dei possibili sviluppi futuri. Quello del baratto amministrativo per gli enti locali è un tema da approfondire e il caso di Santa Maria a Monte fa un po’ da sperimentazione. E probabilmente presto arriveranno anche le prime tesi di laurea proprio sul Borgo che Vorrei.
Il baratto serve anche a preservare le tradizioni culturali: con il bando Borgo in fiore, l’amministrazione ha individuato dieci postazioni e ha chiesto ai commercianti di curare il decoro di quei luoghi. Inoltre, con il progetto 2.0, il proseguimento della prima tranche, si punta sull’arte e sulla cultura. Sono stante installate delle opere sulle mura del castello e si organizzano visite guidate con mostre itineranti e spettacoli nelle cantine sotterranee di Santa Maria a Monte. C’è una vera e propria città sotterranea, fatta di cunicoli e gallerie che un tempo erano collegate tra loro e servivano come rifugi dagli assedi e dai bombardamenti in tempi più recenti o come luogo di conservazione per cibo e medicinali. Queste cantine, private, sono state chiuse per lungo tempo e sene era quasi persa la memoria. Adesso, grazie a degli sgravi fiscali a beneficio dei proprietari vengono aperte durante il periodo estivo. “Uno dei bandi più semplici ma che ha avuto successo è quello con cui si è ftto adottare un vaso al cittadino. Tradotto in bolletta significa con il Baratto amministrativo: 20 euro di sconto sulla Tari. I fiori sono importanti per Santa Maria a Monte – continua Parrella – e lo testimonia la processione delle paniere. Ad oggi abbiamo 154 vasi adottati”.
Il Borgo che vorrei appare come un progetto davvero ben riuscito da poter mettere a punto e declinare anche in altre realtà, anche se i risultati si vedranno con certezza nel lungo periodo, ma come fa notare Manzetti qualcuno ha chiuso. In tutto questo poi c’è anche un meccanism odi garanzia di fronte alla legge e ai garanti dei conti pubblici ad esempio conclude Parrella: “Il bando prevedeva che doveva stare aperto per minimo due anni. Uno ha chiuso prima quindi ha restituito il contributo che gli era stato dato. Ha tenuto invece l’agevolazione sulle tasse dei rifiuti e l’esenzione dal suolo pubblico. L’8 e il 9 dicembre ci sarà l’inaugurazione di due attività che andranno a sostituire quelle che hanno chiuso”.

Giuseppe Zagaria

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