Res bellica, I numeri della Grande Guerra a San Miniato

E’ dedicata all’onorevole Brandolino Brandolini d’Adda, unico deputato italiano morto in quella guerra. La prima Mondiale, quella che ora non ha più testimoni viventi. La mostra Res bellica ricorda questa guerra e sarà inaugurata a San Miniato, nella biblioteca Luzi, sabato 23 febbraio alle 15,30. Subito dopo saranno portati i saluti istituzionali, compresi quelli di Barbara De Nardi, assessore di Vittorio Veneto, la città sul Piave che ospitò l’ultimo fronte con l’Impero. Sarà l’assessore, poi, a conferire l’attestato di Cittadinanza onoraria alla memoria ai caduti di Casciana Terme Lari, Terricciola e Pieve Fosciana.

Res bellica è una mostra storico documentale che coinvolge diversi soggetti nell’ambito delle celebrazioni del Centenario della Grande Guerra a Vittorio Veneto tra cui Comune di Vittorio Veneto, Esercito Italiano, Mibac, Honourable Artillery Company ed è realizzata mediante il contributo finanziario del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. La mostra allestita a San Miniato riguarda la sezione I numeri della Grande Guerra, con foto tratte dal fondo Marzocchi del Museo della Battaglia di Vittorio Veneto.
Quella battaglia che segnò la fine di un conflitto cruento e devastante e regalò all’Italia, all’Europa e al mondo intero il ritorno alla pace. Nell’ottobre 1967 il consiglio comunale di Vittorio Veneto deliberò la concessione della cittadinanza onoraria agli ex combattenti, in occasione del 50esimo anniversario della fine della Grande Guerra e fu poi effettivamente attribuita con la delibera 81 del 30 giugno 1968.
In previsione delle celebrazioni del centenario della fine della Grande Guerra, nel 2017 gli amministratori della città di Vittorio hanno maturato l’idea di valorizzare tutti coloro che hanno dato l’apporto indispensabile al processo di unificazione nazionale compiutosi con la fine del conflitto, concedendo la cittadinanza ai militari che persero la vita.
“Il 4 novembre 2017 – racconta Michele Fiaschi – ho avuto l’onore di essere stato tra i pochi presente al consiglio comunale invitato dall’amministrazione vittoriese. E’ stato un momento veramente emozionante e intenso, di profonda riflessione personale, in cui il mio pensiero è andato subito ai caduti samminiatesi. Ai nostri avi in uniforme, scarsamente armati ed equipaggiati che non si tirarono indietro e fecero il loro dovere fino all’ultimo, al costo della vita. Dalle trincee della guerra bianca, alle gallerie, ai forti e al fango del Piave questi uomini, a volte non ancora diciottenni, sopportarono sacrifici indicibili, lasciando famiglie distrutte, vedove, orfani, vite segnate, lutti, fame e distruzioni. Pensando a tutto ciò, immediatamente mi è scaturita l’idea di creare un percorso per l’ottenimento di questo riconoscimento anche per tutti i nostri caduti. La memoria è affidata a questi gesti, che sono nel tempo stesso testimonianza e monito”.
Un po’ di storia
Con la terza guerra d’indipendenza, nel 1866 la città diventò italiana e nacque il 27 settembre del medesimo anno dall’unione dei preesistenti comuni di Ceneda e Serravalle. Il 22 novembre, assunse il nome di “Vittorio” in onore di Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia. Fu la prima fusione tra Comuni d’Italia. Il 26 ottobre 1917 l’Esercito italiano crollò a Caporetto. Gli eserciti nemici occuparono l’intero Friuli e il Veneto orientale. Con il bando del Generale Cadorna del 5 novembre 1917, fu fatto obbligo a tutti gli uomini fra i 15 e 55 anni del territorio che stava per essere occupato dal nemico, di partire per la sponda destra del Piave. 

L’Esercito nemico entrò in Vittorio l’8 novembre 1917 alle 11 e impiantò il suo quartier generale in quella che era una zona molto sensibile, inserita tra il gruppo di divisioni di montagna dell’esercito del generale Conrad e l’esercito del generale Isonzo Boroevic. La città subì una dura occupazione militare e i cittadini furono costretti a una convivenza difficile con le truppe di diverse nazionalità per un intero anno. L’Esercito italiano fu schierato sul fiume Piave, sul fronte arrivano i “Ragazzi del ’99” e il generale Diaz che sostituendo il generale Cadorna, dette nuova fiducia alle truppe. I soldati italiani saldamente allineati sul Piave, furono pronti a difendersi fino all’ultimo. Gli alleati inglesi, francesi, cechi, americani, si allinearono sulla riva del fiume Adige, perché convinti che la linea del Piave potesse crollare. Le truppe italiane riuscirono a respingere i forti attacchi austriaci nel mese di giugno 1918. Dopo questa resistenza, l’esercito cominciò a prepararsi per la grande offensiva, che il 24 ottobre 1918 fu lanciata su vasta scala. La battaglia è conosciuta come la grande battaglia di Vittorio Veneto, proprio perché, dopo 5 giorni di duri scontri, l’esercito Austroungarico fu costretto a ritirarsi fino a raggiungere la città, che venne liberata il 30 ottobre. Alle 15, sezioni del XX reparto d’assalto precedute fin dal mattino da unità di ciclisti e dalla cavalleria dei Lancieri “Firenze”, entrarono a Vittorio Veneto accolte festosamente dalla popolazione, giunsero anche reparti di fanteria dell’VIII e del XXII corpo d’armata e vennero catturati i soldati austriaci superstiti. Il 3 novembre l’Austria firmò con l’Italia l’armistizio di Villa Giusti che entrò in vigore il 4, giorno in cui gli italiani entrarono a Trento e la Regia Marina sbarcò le sue truppe a Trieste. La città il 29 ottobre 1919 fu decorata della Croce al merito di guerra con la seguente motivazione: “Perché travolta dall’invasione nemica mantenne sempre un contegno nobile e fiero, attendendo con fede il giorno della riscossa e della vittoria, cui dette il nome e lo spontaneo concorso dei suoi figli generosi”. Vittorio Veneto, fu poi decorata il 2 novembre 1946 della Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione: “Amore di Patria, spronando l’antica volontà di vittoria a piegare il destino, risuscita Vittorio Veneto. Per venti mesi di guerriglia atrocissima, sola ed indoma, organizza, sostiene ed alimenta i cittadini compatti nella rivolta contro il duplice servaggio e di cinquemila partigiani che, scolta insonne, lottano sulla sinistra del Piave e sui valichi montani a difesa della dignità d’Italia. Contro la rabbia nemica i volontari della libertà, donando ai vivi l’anima dei morti, confermano fieramente la nobilissima tradizione a conservare la libertà piegando la ferocia e la distruzione. Domata la tracotanza avversaria, costretto alla resa il nemico in ritirata, la città, libera per la tenacia dei figli, consacra all’epopea del nuovo riscatto il suo sacrificio di sangue e di mezzi.

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