Cultura, la mostra di Cupelli sul portone della Torre degli Stipendiari foto

Se i musei sono chiusi, l’arte si sposta all’esterno

Dopo visite virtuali, dipinti postati e spiegati sui social network, webinar e altre variegate offerte l’arte si ferma al portone: è visitabile fino al 17 gennaio la prima mostra del progetto di Aurelio Cupelli che porta il nome di Cerchiamo forza, guardandoci attorno. Il primo appuntamento è Strade di città, dieci scatti realizzati il mattino dello scorso 14 dicembre attorno alla stazione ferroviaria di Santa Maria Novella a Firenze. Sguardi e movimenti filtrati dalle mascherine e dal distanziamento sul portone della Torre degli stipendiari.

Il progetto si compone di una serie di “mostre fotografiche resilienti”, fatto di piccole collezioni che vogliono raccontare quello che si vede in giro, ovvero la ricerca la forza necessarie per oltrepassare questo momento.

Il progetto è condiviso e sostenuto dall’assessore alla cultura di San Miniato Loredano Arzilli, che contribuirà a rendere possibile il crearsi di un percorso su più portoni sanminiatesi, dove nelle prossime settimane, le singole mostre potranno migrare.

Già nel luglio scorso, durante la tregua data dalla pandemia, Aurelio Cupelli, Daniele Alamia e Andrea Mancini, un gruppo di amici, appassionati d’arte e di fotografia sanminiatesi, avevano ripreso a progettare cultura, realizzando e mettendo in cantiere un programma di eventi e mostre nei locali della Casa Torre degli Stipendiari. Poi, con l’autunno e l’arrivo della seconda ondata del Covid, hanno dovuto fermare tutto.

Adesso anche loro sono in attesa di capire quali saranno le misure di contenimento dell’epidemia che ci aspetteranno nei prossimi mesi. Il loro progetto estivo di aprire questo spazio alla fruizione culturale, come tanti altre iniziative culturali, hanno dovuto subito confrontarsi con le restrizioni. Prima i contingentamenti dei posti e poi le chiusure dei musei, delle mostre, la cancellazione degli eventi in presenza. Avevano lavorato ad un calendario di eventi già a partire dal mese di novembre, ma non sono neppure riusciti a partire con la seconda fase del progetto.

“Abbiamo potuto però vedere che l’arte e il sapere hanno imparato a valicare muri e portoni serrati per il lockdown, raggiungendoci ovunque”, hanno detto. Sono numerose, infatti, le iniziative online organizzate per mantenere il legame tra i cittadini e le istituzioni culturali. Visite virtuali, dipinti postati e spiegati sui social network, webinar e altre variegate offerte. Loro hanno voluto fermarsi al portone, perché hanno sentito l’esigenza di utilizzare qualcosa di fisico, proprio quel portone che tanto hanno progettato di aprire. Così, non potendolo aprire, ecco che lo faranno diventare un luogo di mostra.

Aurelio Cupelli racconta così come è nata l’idea: “In quei giorni stavo leggendo alcune storie accadute nell’altro secolo – ha detto -, in quello che chiamano ‘breve’, ovvero di quel periodo tra la Grande Guerra e la caduta del Muro di Berlino, in cui successe di tutto. Ma quel mondo che ne venne fuori si è pian piano trasformato, e molto va scomparendo. Tra queste, proprio la sera prima degli scatti, avevo letto una storia di Mario Calabresi. Una storia simile a molte altre di quel tempo. Di una vita costruita sull’orlo della storia. Di un matrimonio, celebrato nella primavera del ’40, con l’Europa già in fiamme e l’Italia pronta (si fa per dire) alla guerra. Di un uomo partito appena sposato per la guerra, finito da ufficiale medico a curare feriti sul teatro bellico dei Balcani. Da li è potuto tornare per brevi licenze due volte in due anni, con dei figli che ogni volta nascono nove mesi dopo. Per poi, dopo l’8 settembre, ritrovarsi prigioniero in Germania. Un uomo che, come pochi altri, alla fine della guerra riesce a tornare. Tornato in città trova la casa distrutta e la famiglia dispersa. Ritrovata dopo giorni tra gli sfollati di un borgo di collina. La storia finisce al tramontare degli anni ’80, con la consapevolezza dei coniugi, che quei cinque anni che la guerra aveva loro portato via, alla fine la vita gli aveva dato modo di riprenderseli. Che sia di auspicio a tutti noi, che il tempo che la pandemia ci sta portando via, la vita ci permetta di riprendercelo”.

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