Coronavirus, Oliveri è tornato a casa. L’appello del consigliere: “In ospedale ho visto la morte, fate attenzione” foto

"Il covid è tremendo e contagiarsi può purtroppo capitare a tutti. Credetemi e non lo provate sulla vostra pelle"

Il passo è ancora un po’ incerto, il respiro è affannoso e la perdita di peso evidente (mancano ben 18 chili). Serviranno fisioterapia e cure per rimettersi in sesto, ma il coronavirus è così: non ha rispetto del tempo. Può portarti via da un momento all’altro o lasciare il segno a lungo: quanto non possiamo ancora saperlo.

Il coronavirus però, quando l’hai superato, ti regala anche tanto, come il sapore ineguagliabile di quel primo piatto di tortellini in brodo che è stata la prima cena a casa del consigliere comunale di Santa Croce sull’Arno Enzo Asma Oliveri. E’ tornato a casa ieri 16 marzo, dopo 34 giorni di ricovero all’ospedale di Empoli a causa del covid 19. “Ci sono entrato il 10 febbraio – ricorda -. Ero a casa con esito del tampone positivo e avevo la tosse. Molti membri della mia famiglia erano risultati positivi e non sappiamo ancora come ci siamo contagiati. Il medico mi ha visitato e mi ha mandato in ospedale”.

Il video di quella prima ambulanza attrezzata covid circolato in chat e social, un anno fa aveva fatto tremare Santa Croce. Ora, in una incomprensibile assuefazione al dolore, quelle ambulanze non le notiamo neppure più. “Io sono salito in ambulanza – racconta il consigliere – ma ero seduto, tanto che non mi sono portato neppure niente. Ho salutato mia moglie ma con l’idea che sarei tornato di lì a poco”. Invece le analisi hanno mostrato la compromissione di entrambi i polmoni e reso necessario il ricovero.

“Mi è cascato il mondo addosso”. Perché in questi 12 mesi tutti abbiamo pianto almeno un morto, troppi hanno salutato a distanza un caro che non hanno più rivisto, se non in videochat. Di sicuro non lo hanno più abbracciato: quegli abbracci tanto scontati prima, ora sono la mancanza e il desiderio più grande.

“Dopo un paio di giorni che ero in ospedale mi hanno messo il casco, lo tenevo per 17 ore al giorno. E’ una cosa brutta… il rumore, il fischio a rompere il silenzio mentre la testa si riempie di pensieri. Delle cose e delle persone che ti mancano, la paura di non rivederli più, di non poter fare più niente, l’attività politica che si ferma bruscamente…”. Insomma, ci puoi anche provare a essere ottimista, ma è davvero difficile per tutto il tempo. “Quando hanno ridotto il casco mi hanno messo il ventilatore con la mascherina, poi gli alti flussi, quei tubicini nel naso per continuare ad aiutarmi a respirare. Per salvarmi lo stomaco, hanno iniziato ad alimentarmi con il sondino: quando me lo hanno tolto ho rivisto il sole. Anche se ho ricominciato a mangiare cose liquide o quasi per riabituare poco alla volta lo stomaco”.

Come fanno i bambini, che scoprono il mondo un passo alla volta e a partire dalle cose davvero vitali, quelle che troppo spesso diamo ormai per scontate. Con il tempo che diventa tutto uguale, fluido, fatto di attese e di modi per non pensare. “Avevo il telecomando, quindi guardavo un po’ di tv e poi il telefono ma quando stai male, anche gli schermi sono difficili da seguire e tutto ti dà noia. Io che mi sono sempre informato su tutto, ho smesso di seguite i telegiornali e non potevo proprio guardare quei talk show tutti uguali sul covid 19. Non ce la facevo a sentir parlare di coronavirus allora cercavo qualche documentario o qualche bel film, anche seguendo i suggerimenti di mio fratello. E poi mettevo tanta musica”.

Se una cosa non è mancata a Oliveri, è stato il contatto con il mondo esterno. “Voglio ringraziare i miei familiari per primi. E poi tutti quelli che in questi giorni e ancora adesso mi stanno riempiendo di messaggi, di attenzioni, mi fanno forza e gli auguri: presto tornerò a tutte le mie attività”. In tema di ringraziamenti, la priorità va a chi “mi ha salvato la vita. In questi ultimi giorni me lo hanno detto: ‘Enzo, te la sei vista proprio brutta’. Fino ad allora però medici, infermieri e Oss mi avevano sempre fatto coraggio, rassicurato, portato musica, una pacca sulla spalla e un sorriso, nonostante tutto. Ieri mattina, mentre mi preparavo a uscire, è venuto il medico primario del reparto 5A2 Luca Masotti a salutarmi. A lui e a tutto il suo staff va la mia immensa gratitudine per avermi salvato la vita, ma anche per avermi trattato come una persona.

Uscita dal turno di notte, è passata a trovarmi anche Francesca Maggi: è stata la dottoressa che mi ha preso in carico quel 10 febbraio e ha continuato a starmi vicina fino alle dimissioni. Poi tutti gli altri medici, infermieri e Oss, in particolare Marco Mannucci, figlio dell’ex collega vigile, che non mi ha fatto mancare mai la sua presenza e mi ha fatto anche la barba. Il covid ti toglie i rapporti umani e le relazioni, ma grazie a tutte le attenzioni del personale del reparto, mi sono mancate un po’ meno. Anche con i compagni di stanza sono stato abbastanza fortunato: ho passato alcuni giorni da solo, ma negli altri ho trovato persone con le quali parlare e con le quali sono ancora in contatto”.

Anche se l’inizio è stato traumatico: “Quando mi hanno ricoverato ero in camera con una donna, che è morta dopo qualche giorno”. Tra i primi messaggi uscito dall’ospedale, c’è quello inviato da Oliveri alla sindaco Giulia Deidda: “Mi ha scritto spesso per sapere come stavo e l’ho subito avvisata che sarei tornato a casa. Anche come consigliere comunale, voglio invitare tutti a fare attenzione, più di quanta ne facciamo già perché il coronavirus è tremendo e di contagiarsi può purtroppo capitare a tutti. Mi viene spesso in mente, in questi giorni, una frase: Il dolore è di chi lo indossa e non di chi lo guarda. E nessuno può comprendere il dolore di una persona fino in fondo se non l’ha provato sulla propria pelle. Credetemi e non lo provate sulla vostra pelle“.

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