Le associazioni internazionali a difesa della pelle: “Nessuna sostenibilità con i materiali alternativi”

“Non è logico sostituire un materiale durevole, biodegradabile e circolare, con materiali che sono in larga misura sintetici”

Sono sempre più numerosi i nuovi materiali che si affacciano sui mercati della moda, del design, dell’imbottito e degli interni auto, con la dichiarata ambizione di sostituirsi alla pelle come materiale di manifattura. Non ci stanno le associazioni internazionali del settore che lanciano un appello congiunto per difendere la qualità e l’insostituibilità della pelle.

“Questa pretesa – scrivono le associazioni italiane e internazionali – generalmente poggia le basi su presunti miglioramenti in termini di sostenibilità, che nella realtà raramente, se non mai, sono suffragati dai fatti. Mentre la ricerca di una maggiore sostenibilità è un’esigenza necessaria, presentare la pelle, che è un materiale biodegradabile, resistente nel tempo, ricavato da un prodotto rinnovabile e residuo di un’altra industria, come non-sostenibile, è un’asserzione arbitraria e non supportata. Soprattutto quando la pelle viene paragonata a questi nuovi materiali, in larga misura composti da plastiche a base fossile.

Ogni anno, a livello globale, le concerie recuperano e valorizzano circa 8 milioni di tonnellate di pelli grezze provenienti dall’industria alimentare. Senza l’industria conciaria e la sua attività di riutilizzo, questo materiale residuato diventerebbe semplicemente uno scarto e verrebbe conseguentemente eliminato nelle discariche o incenerito. Peraltro, la distruzione di questo materiale, anziché il suo utilizzo industriale, determinerebbe il rilascio di circa 5 milioni di tonnellate di gas serra. In altre parole, il recupero e il riutilizzo di questo scarto da parte delle concerie contribuisce a ridurre le emissioni di gas serra e crea, al contempo, un prodotto prezioso e versatile. Quale di questi nuovi materiali è in grado di raggiungere questo risultato? La risposta è lontana dall’essere chiara, dal momento che, nonostante un’ampia copertura mediatica garantisca un sostegno ad ogni nuovo lancio sul mercato, poco o nulla si sa sul valore prestazionale e sulla composizione di questi materiali (per non parlare della sostenibilità dei relativi processi produttivi)”.

“Una recente analisi – riprendono -, condotta dall’Istituto tedesco Filk, ha messo a confronto otto di questi nuovi prodotti con la pelle. La ricerca ha dimostrato come le performance tecniche di questi nuovi materiali abbiano poco in comune con quelle della pelle. La pelle è risultata di gran lunga superiore ai materiali alternativi presi in esame nella maggior parte dei parametri più significativi di prestazione funzionale; inoltre, nessuno dei materiali alternativi è stato in grado di eguagliare la pelle in tutti i parametri considerati. Inoltre, la presunta e rivendicata sostenibilità della maggior parte di questi nuovi materiali sembra essere gravemente compromessa dalla necessità di usare grandi quantità di materiali sintetici, per esempio il poliuretano, nel tentativo di uguagliare i livelli prestazionali della vera pelle.

Se le prestazioni sono inferiori, se la composizione è in larga misura sintetica e se non sappiamo nulla in merito all’impatto ambientale dei processi produttivi, è davvero fattibile accampare rivendicazioni sulla sostenibilità? In modo particolare, quando messi a confronto con la pelle? L’elemento trainante di questa situazione, così delineata, può essere attribuito, in grande misura, al marketing della moda e alla sua incessante richiesta di nuove e sempre più valide pretese di sostenibilità. In ogni caso, non è logico sostituire la pelle, che è un materiale durevole, biodegradabile e circolare, con materiali che sono in larga misura sintetici. Oltre a ciò, questo non tiene conto della soluzione di riutilizzo, offerta dalla lavorazione della pelle, di quel materiale che altrimenti sarebbe destinato a divenire uno scarto. C’è abbastanza spazio nel mercato per scelte diversificate di materiali e l’industria conciaria non ha problemi a mettersi in competizione, a condizione che questa competizione sia corretta. In ogni caso, non intende consentire che avvenga un’appropriazione parallela dell’immagine della pelle e una denigrazione di un prodotto autentico, a fronte della promozione di materiali alternativi dalle discutibili prestazioni e pretese di sostenibilità”.

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