Prodotti in pelle contraffatti e venduti anche ai negozi di lusso, base operativa a Santa Croce foto

Un uomo di Empoli tra i promotori dell'iniziativa. Sequestri per cinque milioni di euro

La base operativa dell’associazione a delinquere era a Santa Croce sull’Arno, dove sono state sequestrate griglie su cui si stampavano con estrema fedeltà all’originale i prodotti in pelle venduti come originali di Gucci, Louis Vuitton e molti altri. I prodotti erano curati in ogni passaggio: presentavano cartellini, buste e confezioni. La commercializzazione avveniva poi in negozi di lusso in Canada, Cina, Repubblica popolare di Corea, Austria e Germania. Le spedizioni all’estero erano rese possibili grazie all’utilizzo di documentazione doganale falsificata: nel corso delle indagini la merce – già imballata e pronta per essere spedita – è stata bloccata e sequestrata all’aeroporto di Milano Malpensa.

E’ quanto ha ricostruito la Guardia di Finanza di Lucca, che ha smantellato quella che è stata individuata come una vera e propria associazione a delinquere del falso. Secondo le indagini, la banda riproduceva prodotti di pelletteria imitando con estrema dovizia di particolari i marchi più celebri, con una rete che si estendeva dalla Versilia in tutto il mondo, fino all’estremo Oriente.

L’operazione ha portato a 7 arresti ai domiciliari (in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare), 21 indagati e beni sequestrati per equivalente per una cifra intorno ai 5 milioni di euro. Una rete dalle maglie complesse, difficile da individuare e contrastare a causa dell’estrema accuratezza da parte di chi la perpetrava, sia nell’elaborazione dei prodotti finali che nelle modalità di vendita. L’indagine è iniziata circa un anno fa ed ha permesso di ricostruire nel dettaglio anche l’illecito profitto maturato.

L’associazione criminale agiva in Toscana, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto: il promotore – originario di Empoli e domiciliato a Monza – è un soggetto già noto alle forze dell’ordine perché dedito da tempo a questa attività. In tutto questo, la Versilia era stata identificata come base operativa per effettuare riunioni, ma anche per smerciare a chiamata i prodotti falsi a privati, a personaggi del jet set ed anche a calciatori.

Un quadro che è stato ricostruito stamani 24 settembre nella sede della Guardia di Finanza di Lucca, alla presenza del colonnello Massimo Mazzone, del maggiore Armando Modesto e del maresciallo Curano. I militari del gruppo di Viareggio, sotto la direzione dei Pm Ester Nocera e Leopoldo De Gregorio (procura della Repubblica di Lucca e Direzione distrettuale Antimafia hanno collaborato fianco a fianco) hanno contestato i reati di associazione a delinquere, ricettazione, contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi, ovvero di brevetti, modelli o disegni ed il reato di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi. Le ordinanze di custodia cautelare – disposte dal Gip del Tribunale di Firenze dott. Giampaolo Boninsegna – sono state eseguite a Monza, Milano, Empoli e Firenze nei confronti di 5 italiani, un cittadino cinese e un coreano. 

Se in Italia il sistema funzionava “su chiamata”, con l’intermediario e mente del progetto che curava i rapporti, all’estero lo scenario mutava: attraverso una ricercata contraffazione della documentazione i prodotti finivano – venduti come originali – sugli scaffali di grandi store in Corea del Sud. I ventuno indagati sono implicati a vario titolo nell’attività illecita: altra peculiarità è quella della sinergia tra padri e figli nell’operazione. Il promotore aveva contatti, insieme al genitore, con i fornitori delle materie prime come il pellame; un altro padre è indagato, mentre il figlio è stato arrestato, per la fornitura dei semilavorati; infine un ulteriore padre è stato indagato perché curava le spedizioni all’estero con il figlio.

Le intercettazioni hanno consentito di ricostruire l’intera rete: i figli prendevano accordi telefonici tra loro e, in un secondo momento, i genitori ultrasettantenni – sperando di non destare sospetti – si incontravano di persona per chiudere lo scambio della merce. 

“Un reato particolarmente pericoloso – commenta il colonnello Massimo Mazzone, alla guida della compagnia lucchese  – e non certo, come spesso viene inquadrato, di serie B. Parliamo di un grave ammanco per le casse dell’erario e di migliaia di posti di lavoro che ogni anno vengono meno, in Italia e nel mondo, a causa di questa attività illecita. Oltre a questo si aggiunge un profilo concernente la salute di chi utilizza prodotti fatti con materiali spesso tossici per l’uomo”.

Dentro l’associazione a delinquere spiccava anche una figura dedita a creare società all’estero, in particolare a Londra, utili per far arrivare i pagamenti destinati poi a transitare su conti correnti in Italia. Il fatto che questi venissero svuotati rapidamente con prelievi al bancomat ha destato ulteriori sospetti. L’attività è proseguita senza interruzioni anche durante la pandemia, senza alcuna cura per la normativa anti covid.

Contestualmente è stato disposto un sequestro preventivo per l’equivalente dell’illecito profitto, quantificato in 5 milioni di euro circa: si tratta di 8 immobili, un terreno, 33 conti correnti, disponibilità finanziarie, 4 autovetture e 4 motoveicoli. Intercettazioni ambientali, telefoniche, pedinamenti e analisi dei dispositivi informatici hanno consentito di cogliere l’obiettivo.

Le attività sono durate oltre un anno e mezzo e hanno portato al sequestro di più di 50mila prodotti falsi, insieme a 500 metri quadrati di stoffa delle più note griffe dell’alta moda italiana e internazionale: Gucci, Hermes, Louis Vuitton, Chanel, Prada, Yves Saint Laurent, Givenchy, Dior, Céline, Balenciaga e Ferragamo. 

Dalle indagini è emerso che chi contattava in privato l’intermediario per procurarsi la merce ed anche i negozi che la esponevano al pubblico erano perfettamente consapevoli che si trattasse di prodotti contraffatti: anche per loro, quindi, si configurano profili di responsabilità che verranno approfonditi nelle prossime settimane.

 

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