Caso Scimmi, assolto il camionista di Santa Maria a Monte. “Siamo allibiti e distrutti”

Parla la sorella Giulia: "Già a luglio abbiamo depositato una richiesta di riapertura delle indagini"

Ha frenato e non poteva sapere che Sara fosse lì. Per comprendere le ragioni della sentenza di assoluzione del camionista di Santa Maria a Monte denunciato a novembre 2017 per l’omicidio di Sara Scimmi (qui), sarà necessario attendere che il giudice depositi le motivazioni, al massimo in 30 giorni.

Per ora, il processo sull’omicidio della ragazza, trovata su una strada di Castelfiorentino, si è concluso con l‘assoluzione dell’autista che in aula ha raccontato di non essersi accorto di aver travolto la giovane di 19 anni. La pubblica accusa aveva chiesto una condanna a 5 anni di carcere per omicidio stradale. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, l’uomo stava procedendo a una velocità superiore al limite e si sarebbe reso conto troppo tardi della ragazza riversa sulla strada: dopo un tentativo di frenata durato circa 4 secondi, il camionista avrebbe investito per poi proseguire senza fermarsi né prestare soccorso.

La difesa, però, ha sostenuto che il 50enne alla guida del camion non si sarebbe accorto dell’investimento dato che la ragazza era già stesa sulla carreggiata e per questo avrebbe tirato dritto. Come detto, servirà attendere le motivazioni, ma è probabile che sulla decisione del giudice abbia influito proprio il fatto che l’autista non potesse prevedere la presenza di una persona sdraiata in strada. Come Sara sia arrivata su quella carreggiata dopo essere uscita dal locale è ancora un mistero.

“Siamo allibiti e distrutti” è la prima dichiarazione di Giulia Scimmi, sorella di Sara che in questi anni ha portato avanti passo passo con i legali la battaglia in tribunale. “Già a luglio abbiamo depositato una richiesta di riapertura delle indagini. Avendo ben presenti le tante falle delle testimonianze e forti di quello che le perizie hanno fatto emergere, tutto ci aspettavamo tranne che un’assoluzione”.

Epilogo che, lo ricordiamo, è solo al primo grado di giudizio, ma al quale la famiglia fa sapere di voler con ogni mezzo dare un seguito, anche prendendo di mira alcune delle testimonianze. “Da oggi sappiamo che per la legge la morte come quella di mia sorella può rimanere impunita – continua Giulia, ancora scossa per la notizia giunta dal tribunale poche ore prima –. Le hanno schiacciato la testa, le sono passati sopra, ma non è colpa di nessuno”.

“Poco importa – continua – che le testimonianze non combacino fra loro, o che le dichiarazioni dell’indagato principale siano cambiate nel corso del tempo anche in raffronto alle intercettazioni, o ancora che tutto l’impianto accusatorio sia stato vanificato dicendo che mia sorella era già a terra, mentre il medico legale ha chiaramente detto che la frattura al femore ha prodotto un ematoma, quindi è antecedente alla morte. Una ricostruzione che a tutti noi è apparsa sommaria e che vogliamo leggere nelle motivazioni della sentenza. Questa persona oggi è libera e può guidare. Spero che tutto questo venga preso in esame e si vada al secondo appello, perché questa non è giustizia”.

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