Omicidio in Pineta a Marina di Pisa, condanna definitiva a 30 anni per l’ex barman

Omicidio in Pineta di Marina di Pisa, Michele Antonelli condannato in via definitiva a 30 anni di reclusione. In primo grado per era stato condannato all’ergastolo. Secondo la Procura l’ex barman, all’epoca 25 enne, la note tra il 7 e l’8 dicembre del 2017 andò nella Pineta per comprare droga. Sparò con la pistola alla gola del pusher per rapinarlo di soldi e stupefacenti. In zona c’era un testimone che seppe fornire elementi utili per identificarlo.

La versione dell’imputato collima con quella dell’accusa fino all’arrivo in Pineta, poche decine di metri all’interno di fronte al bagno Arcobaleno. Il 25enne ammette di essere andato nella boscaglia per andare a comprare droga. E con sé aveva la pistola. Quando si è trovato davanti i due spacciatori ha pensato che prendere la roba gratis sarebbe stato meglio che pagarla, secondo i giudici. Al posto dei soldi avrebbe tirato fuori la pistola e l’amico della vittima per bloccarlo gli sarebbe saltato addosso. In una colluttazione durata alcuni secondi sarebbe partito il colpo capace di centrare al collo, lato sinistro, Abdelhak Jarmouni che perse la vita. Quindi la fuga nella notte. Il giorno dopo la scoperta del corpo e l’iniziale attribuzione della causa di morte a un’overdose. Solo l’autopsia portò alla svolta cambiando radicalmente il senso delle indagini.

Quel foro di entrata, minuscolo, era stato provocato da un proiettile. Per i giudici però si trattò addirittura di omicidio volontario. La corte d’assise d’Appello reputava, concordemente a quanto sostenuto dal primo giudice, infatti, che la ricostruzione alternativa offerta dalla difesa, in ordine alla dinamica dei fatti, al momento dello sparo, all’elemento soggettivo che aveva sorretto la condotta dell’imputato, al movente dell’azione delittuosa intrapresa, fosse stata smentita da elementi di fatto granitici provenienti, inconsapevolmente, anche dallo stesso Antonelli, indicativi di una seriazione causale diversa del tutto incompatibile con quella prospettata dalla difesa. Dello stesso avviso gli ermellini.

“Pertanto, la censura in esame è inammissibile sia perché fondata su un motivo che si risolve nella ripetizione di doglianze già dedotte in appello, motivatamente esaminate e respinte dal giudice di secondo grado con decisione frutto di un ragionamento rigorosamente logico e giuridico: così che il motivo stesso si deve considerare non specifico; sia perché il ricorrente, attraverso la pretestuosa deduzione di un’asserita carenza di motivazione della sentenza impugnata, ha tentato di ottenere una rivalutazione delle prove, che si risolverebbe in un sostanziale nuovo giudizio sul fatto; e tale giudizio, per costante giurisprudenza di questa Corte, è sottratto, come tutte le valutazioni di merito, al sindacato di legittimità della Cassazione”. L’uomo, in carcere dall’epoca dell’omicidio, è stato ora condannato definitivamente a 30 anni di reclusione, al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile da liquidarsi in separata sede, nonché al pagamento di una provvisionale determinata nella misura di 50.000 euro e a 3.000 euro di spese legali. Il caso giuridico è chiuso.

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