Le ‘molecole eterne’ nei mari toscani: altamente inquinanti, sono prodotte dall’industria

Tracce sono state ritrovate a varie concentrazioni, infatti, in tutti i delfini spiaggiati lungo il litorale toscano, dalla Versilia a Capalbio, dal 2020 al 2022

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Le ‘molecole eterne’ altamente inquinanti prodotte dall’industria finiscono anche nei mari toscani.

I famigerati Pfas sono stati ritrovati a varie concentrazioni, infatti, in tutti i delfini spiaggiati lungo il litorale toscano, dalla Versilia a Capalbio, dal 2020 al 2022. En plein di Arpat che ha svolto questo studio all’interno di un progetto più ampio di monitoraggio del Mediterraneo che coinvolge altre regioni e paesi. Ennesima riprova della presenza di queste micidiali sostanze chimiche create in laboratorio dall’industria anche nella regione Toscana, in grado di provocare tumori e altre malattie e durare centinaia di anni nell’ambiente ed accumularsi nell’organismo nel tempo. Da qualunque parte vengano scaricate queste terribili sostanze e a prescindere dai motivi e dai contesti, prima o poi arrivano in mare.

La stenella striata (stenella coeruleoalba) è il cetaceo più comune nel Mediterraneo ed è la specie più rappresentativa del versante continentale di questo bacino semi-chiuso nonché la più diffusa nelle acque toscane. “Si tratta di una specie pelagica con abitudini alimentari diverse dal delfino costiero (tursiope) molto più soggetto ad impatti antropici e più studiato. Gli esemplari spiaggiati, recuperati grazie alla rete regionale che Arpat coordina, sono analizzati insieme a università di Siena per alcuni contaminanti ed ai veterinari dell’Izslt che compiono la necroscopia, acquisendo anche i parametri morfometrici di base (lunghezza totale, peso, sesso, età) e codificando lo stato di conservazione”.

I risultati ufficiali di Arpat

Durante un simposio a giugno scorso sono stati presentati da Arpat i primi risultati dello studio, dopo il monitoraggio, ottenuti, utilizzando la cromatografia liquida accoppiata alla spettrometria di massa ad alta risoluzione, nella misurazione delle sostanze Pfas nel fegato, nel muscolo, nel sangue e nel cervello di 26 esemplari di stenella striata spiaggiati lungo le coste della Toscana dal 2020 al 2022 e recuperati grazie alla rete che fa capo all’Osservatorio Toscano per la Biodiversità di Regione Toscana. Lo studio in esame, finalizzato ad indagare i livelli di Pfas e fornire elementi utili alla valutazione dello stato di salute del delfino striato del Mediterraneo, ha previsto l’analisi di quattro tipologie di tessuto (fegato, sangue, muscolo e cervello) di esemplari di diverse età spiaggiati lungo la costa toscana, in buono stato di conservazione. Tutti i Pfas (4700 sostanze chimiche sintetiche) sono stati inclusi nell’elenco delle sostanze pericolose prioritarie che devono essere monitorate nei corpi idrici dell’Ue, comprese le acque di transizione e costiere, secondo la direttiva 2013/39/Ue che definisce gli standard di qualità ambientale (Sqa) con limiti tabulati, nelle acque e nel biota (pesci) particolarmente stringenti.

In tutti i 26 delfini sono stati ritrovati ben 18 Pfas

Scrive Arpat: “Gli estratti dei campioni sono stati analizzati mediante cromatografia liquida ad altissime prestazioni accoppiata a spettrometria di massa ad alta risoluzione   che consente di valutare il rapporto massa/carica fino alla quarta cifra decimale. In ogni campione sono stati ricercati e quantificati 18 Pfas e, utilizzando le peculiarità dell’apparecchiatura impiegata, è stata investigata la presenza di eventuali altre molecole appartenenti alla stessa categoria chimica. I risultati di questo primo studio mostrano che in tutti i campioni di delfini analizzati sono stati trovati Pfas con vari livelli di concentrazione che sembrano, tra l’altro, attestare una capacità di questi inquinanti di attraversare la membrana encefalica”.

Le conclusioni della relazione sui Pfas del 2022 da parte della Commissione parlamentare d’inchiesta

“Il Veneto – si legge nei lavori della commissione parlamentare – non è l’unica area interessata da inquinamento da Pfas a livello nazionale ma anche in Piemonte (impianto di produzione), in Lombardia e in Toscana (utilizzo industriale). In queste situazioni non risulta sia stato effettuato un biomonitoraggio campionario della popolazione residente. L’utilizzo industriale dei Pfas è quindi un problema persistente in Veneto ed in altre aree del paese. Inoltre, soprattutto alla luce della produzione di fluorurati di nuova generazione, si sottolinea l’importanza di condurre studi epidemiologici con finalità eziologica. Questa è una parte importante della prevenzione (regolamentazione della produzione e utilizzo di sostanze) ed è anche una necessaria rilettura di quanto è successo nei decenni scorsi. In conclusione, nell’ambito della regolamentazione delle soglie allo scarico e nelle acque potabili, nonostante i pareri sempre più stringenti adottati da Efsa e suggeriti da Iss, e in attesa di recepimento a livello nazionale, si sottolinea l’importanza di rimodulare il modello valutazione dei limiti di queste sostanze nelle acque. Si ritiene infatti che le soglie dovrebbero applicarsi a famiglie di composti, non alle singole molecole (o a una sommatoria di alcune di esse), onde evitare di trovarsi continuamente a inseguire le nuove molecole rilasciate in commercio, ma simili alle precedenti come meccanismo d’azione e struttura, e quindi presumibilmente anche come tossicità”. Più chiaro di così.

Cosa fare?

In attesa di una normativa nazionale in materia la letteratura scientifica internazionale è ormai quasi univoca. I Pfas sono sostanze troppo pericolose, gli organismi viventi non sono in grado di espellerli e la loro pericolosità è legata anche all’accumulabilità per cui  qualunque soglia fissata per legge sarebbe comunque troppo alta. Serve un impatto zero di queste sostanze nell’ambiente perché se si entra in contatto poi nel tempo poi la soglia critica viene raggiunta comunque proprio per capacità di accumularsi nell’organismo. Conclude Arpat: “La presenza di queste sostanze nei delfini striati sottolinea l’effetto delle attività antropiche sulla fauna selvatica e sollecita ulteriori ricerche e l’auspicabilità di estendere questo tipo di indagine a tutti gli esemplari che si spiaggiano sulle coste della Toscana ed anche ad altre specie di vertebrati marini”. Ma non è pensabile che Arpat sia sola in questa faccenda che riguarda la salute di tutti i cittadini toscani. Servono leggi severe, massima attenzione da parte della magistratura, e più risorse per effettuare controlli mensili e costanti nelle acque superficiali, nelle falde, negli scarichi e nel mare e soprattutto sugli esseri umani.

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