Economia, Conciario in calo ma leader nell’export

26 giugno 2015 | 17:10
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Economia, Conciario in calo ma leader nell’export

Le potenzialità ci sarebbero anche. Ma la provincia di Pisa deve ancora lavorare per fare impresa e uscire dalla crisi. È la sintesi della relazione sull’andamento dell’economia toscana nel 2014 presentata questa mattina 26 giugno dal presidente della Camera di Commercio di Pisa Pierfrancesco Pacini. Nel 2014 il valore aggiunto della provincia di Pisa, secondo le stime Prometeia, l’associazione che elabora previsioni sull’economia italiana e internazionale, ha segnato un -0,4%.

La ricchezza prodotta ha subito una riduzione soprattutto nelle costruzioni (-1,8%) e nell’agricoltura (-1,7%). Più contenuta la contrazione nell’industria (-0,6%), mentre i servizi hanno registrato un ristagno (-0,3%). Pur trattandosi dell’ennesima contrazione, quella del 2014 appare comunque la più bassa degli ultimi anni. La capacità produttiva dell’industria pisana, secondo le indagini congiunturali condotte dalla Camera di Commercio, è ancora del 30% inferiore rispetto ai livelli pre-crisi. Il manifatturiero pisano, ancora dipendente dall’evoluzione del mercato interno, segna in media d’anno una contrazione produttiva dell’1,1% e occupazionale dello 0,3%. Sul mercato interno, tuttavia, si intravvedono alcuni segnali positivi. Tra questi, il più evidente è senz’altro il ritorno alla crescita del turismo italiano che, dopo tre anni di flessioni, registra un +3,4% di presenze rispetto al 2013. Anche l’aeroporto sta confermando ottimi numeri sui voli nazionali (+7,3%). Migliori sono in generale gli indicatori riconducibili alla domanda internazionale. A fronte di un fatturato industriale che nel 2014 arretra dell’1,7%, quello realizzato oltre confine mette a segno un +1,2%. I nuovi ordinativi, che complessivamente si contraggono del 2,7%, evidenziano nella componente straniera un timido segnale positivo (+0,3%). L’export, che nel 2013 era cresciuto del 2,9%, ha visto nell’anno che si è appena concluso, una contrazione dell’1,8%. Questo risultato ha, tuttavia, una specifica connotazione settoriale e, in misura più contenuta, territoriale. Sono infatti le calzature (con una flessione di quasi il 30%) e le vendite di prodotti meccanici (-8,6%, dopo l’ottimo 2013), a pesare in negativo sul risultato complessivo, mentre i due principali settori di esportazione, cuoio (+3,6%) e motocicli (+1,8%), segnano una crescita. Considerando i mercati di sbocco delle produzioni pisane, a flettere è soprattutto l’Europa, con la Germania (-11,6%) e il Regno Unito (-19,3%) che registrano un vero e proprio crollo, mentre cresce l’export verso le Americhe (+5,7%) e l’Asia (+7,0%). Complessivamente il quadro rimane ancora pesante per quelle imprese e sono le più, che fanno quasi esclusivo affidamento sulla domanda interna, come il commercio, l’edilizia e l’artigianato. Una nota meritano invece, le start up innovative e le aziende dell’alta tecnologia, le quali, facendo leva sull’innovazione, si posizionano sulla frontiera tecnologica registrando performance di tutto rispetto. A pesare sulla scarsa dinamicità della domanda interna sono i deludenti risultati del mercato del lavoro, rimasto debole sia sul fronte dell’occupazione, sia della disoccupazione. Rispetto al 2013, i dati Istat ci dicono che l’occupazione si è ridotta di circa 3mila unità, andando a colpire i servizi, la componente maschile e i lavoratori autonomi. Il tasso di disoccupazione, pur beneficiando della diminuzione delle forze di lavoro è calato di appena due decimi di punto rispetto al 2013, portandosi all’8,3%. Le ore autorizzate di cassa integrazione guadagni hanno sfiorato, nel complesso del 2014, i 7,3 milioni: quasi uno in più rispetto al 2013. Il 2014 è stato un anno difficile anche sul versante delle procedure concorsuali: registra un ulteriore aumento, da 718 a 785, il numero di aziende pisane che hanno intrapreso procedure di scioglimento e liquidazione volontaria. Anche i fallimenti aperti, nel giro di un anno, sono passati da 87 a 117. Dall’indagine annuale condotta sulle piccole e medie imprese pisane emergono alcuni timidi segnali di miglioramento. Tra il 2013 e il 2014, infatti, aumenta la quota di imprese che dichiarano di aver accresciuto il loro giro d’affari (dal 7% al 19%) e che hanno in corso attività di investimento: dall’8% al 27%. La richiesta di credito, coerentemente con la debolezza che ancora caratterizza l’attività produttiva e di investimento, registra solo un lieve aumento rispetto al 2013. E’ interessante rilevare, nel confronto con il 2013, la crescita della quota di coloro che hanno destinato i prestiti a nuovi investimenti. La debolezza della domanda di credito emersa dall’indagine sulle Pmi pisane, è confermata dai dati Bankitalia. Nel 2014, infatti, il credito concesso alle imprese pisane si riduce dell’1,6%. L’onda lunga della crisi, accresce le difficoltà delle aziende a rimborsare i prestiti ma, grazie alle recenti misure della Bce, si riducono i tassi di interesse. Il tasso di decadimento, calcolato come rapporto fra il flusso di nuove sofferenze e la consistenza dei prestiti in essere, rimane su valori storicamente elevati (4,5% nel 2014), con punte particolarmente significative nelle costruzioni (9%). Riguardo al settore di pelli e cuoio, il peggioramento avvenuto nel secondo semestre del 2014, porta la produzione annuale di pelli lavorate a perdere un ulteriore 2,1% e il fatturato un 1,5%. Tuttavia, con 719 milioni di euro di produzione esportata (+3,6%), la concia si conferma primo settore a livello provinciale in termini di vendite all’estero.
Secondo Prometeia, la crescita del valore aggiunto toscano prevista per il 2015 (+0,6%) segna un risultato migliore rispetto all’Italia (+0,5%) e anche alla provincia di Pisa (+0,4%). Pesano sul risultato pisano, pur trattandosi di pochissimi decimi di punto, una minore dinamicità dei servizi (appena un +0,4%) e dell’industria (+0,6%) rispetto alle due aree prese a riferimento. “Forse siamo arrivati alla svolta che attendevamo da anni – commenta Pacini -. Se potrà essere davvero adeguata alle aspettative e alle potenzialità della nostra economia dipenderà da ognuno di noi. Certamente conteranno le ambizioni degli imprenditori e il loro impegno nell’investire sul futuro. Ma dipenderà anche dalla capacità del territorio e delle istituzioni che lo rappresentano, di creare valore accanto alle imprese e di interfacciarne il business. Per ricostruire il dopo-crisi sarà infatti necessaria un’assoluta coerenza strategica fra imprese e territori. E i tempi devono essere quelli dell’economia. Veniamo da sette anni di trincea, con i saldi economici e sociali nettamente in rosso. Dal 2005 ad oggi, Pisa ha perso il 6,3% del proprio valore aggiunto. Più di 2.500 euro pro-capite. La produzione manifatturiera è ancora sotto del 30% rispetto ai livelli pre-crisi. Le esportazioni, soprattutto per l’andamento di settori importanti come le 2-3 ruote e della flessione della domanda europea, stentano a tornare sui livelli del 2007. Massiccia è stata anche la perdita occupazionale complessiva: -7.300 mila unità tra il 2008 e il 2014, con 7mila posti in meno nel manifatturiero, 1.700 nell’edilizia e 1.600 nel commercio-turismo. Ed è grave il dato sulla disoccupazione giovanile, che tra il 2007 e il 2014 è cresciuta di ben 15 punti percentuali. Voglio sottolineare bene quest’ultimo dato, perché rischiamo di bruciare una generazione e di giocarci il futuro. Sul fronte creditizio, la questione dei mancati pagamenti ha creato problemi rilevanti al sistema bancario. Il tasso di decadimento è quadruplicato rispetto all’inizio della crisi, costringendo le banche ad accantonare risorse ed effettuare svalutazioni che hanno inciso sui bilanci e limitato fortemente l’erogazione dei prestiti. Problema analogo riguarda anche le aziende che sono riuscite a sopravvivere, che oggi si trovano una gestione pesantemente zavorrata da quelle che chiudono o che, comunque, non pagano. Eppure, nonostante tutto, siamo un territorio che ha mostrato degli elementi di assoluto rilievo in molti campi. Penso all’alta tecnologia: con 288 aziende, che fatturano circa un miliardo di euro, Pisa è la seconda realtà toscana dopo Firenze per numero di aziende. Penso alle start up innovative, dove per densità siamo primi in Toscana e quarti in Italia, mentre in valore assoluto occupiamo il secondo posto regionale e il diciottesimo in Italia. Penso alle reti d’impresa che, con 195 aziende e 41 contratti stipulati, occupano la quattordicesima posizione nazionale per numero di imprese aderenti. Il conciario, pur avendo perduto un terzo della produzione e il 15% delle imprese rispetto al picco pre-crisi, ha visto le vendite all’estero tornare sopra ai livelli del 2007 (+5%)”. Per Pacini, quindi, “a Pisa ci sono le energie per la ripartenza. Ma dobbiamo tornare a crescere per numeri interi, non per manciate di Pil. E per questo c’è bisogno di alzare il nostro tasso imprenditoriale. Ci vuole più impresa, soprattutto più impresa di qualità. Senza impresa non si creano ricchezza e occupazione. E senza impresa anche il sistema di welfare è a rischio. C’è bisogno di incentivare le innovazioni e la ricerca applicata, che alimentano la produttività e rendono più competitivi i territori rafforzando le esportazioni e l’attrattività. C’è bisogno di più mondo a Pisa, sia in termini di presenza turistica straniera, sia in termini di investitori e ci vuole più Pisa nel mondo, e dunque più export, con un sistema della promozione capace di raccogliere appieno la sfida dei mercati”. Come?
Potenziare le infrastrutture e le opportunità di accesso al credito, semplificare la pubblica amministrazione,
secondo Pacini.
“Positivo è in particolar modo il dato sulle start up innovative e le aziende dell’alta tecnologia – secondo il consigliere regionale Antonio Mazzeo – che, facendo leva sull’innovazione, fanno registrare performance migliori rispetto agli altri comparti. Come abbiamo detto più volte è quello il settore nel quale dobbiamo investire con forza aiutando in maniera concreta le imprese che vogliono nascere e svilupparsi sul territorio. Certo ancora non basta e serve adesso investire su un sistema dell’innovazione ancora più avanzato che riesca ad attirare capitali di rischio sul nostro territorio. Per fare questo credo fortemente che dobbiamo superare la logica dei finanziamenti a pioggia puntando piuttosto sul cosiddetto ‘pre commercial procurement’, vale a dire appalti finalizzati alla conclusione di contratti che vengono attivati ancora prima della commercializzazione di un determinato prodotto”.