La caccia sul Monte pisano, il punto con i Cacciatori

La situazione oggi e le previsioni per il futuro. Quello della caccia sul Monte pisano. Per parlarne e per ribadire il proprio impegno nelle faticose ore dell’incendio che ha mangiato ettari di bosco, giovedì 11 ottobre la Confederazione dei Cacciatori Toscani (Federcaccia Toscana, Anuu, Arct ed Eps) di Pisa organizza un’assemblea pubblica a San Giovanni alla Vena, nel comune di Vicopisano, con i sindaci dei comuni colpiti, i presidenti dei due Atc e i rappresentanti delle associazioni confederate. All’iniziativa, inoltre, sono stati invitati i consiglieri regionali eletti nella provincia di Pisa.
“Con questo incontro – spiegano i cacciatori della Cct – dimostriamo ancora una volta quanto consideriamo l’attività venatoria tutt’uno con le tematiche più generali delle comunità coinvolte. La partecipazione dei sindaci è la prova di quanto il mondo venatorio – almeno quello che si riconosce nella Confederazione dei Cacciatori Toscani – rifiuti approcci egoistici e settoriali, pienamente consapevole della interdisciplinarità della caccia e del suo connaturato valore sociale.
Nonostante i reiterati tentativi della cultura animalista, che ormai ha fatto breccia anche nell’ambientalismo un tempo maturo e anti ideologico, di infangare una attività sostenibile, legittima e strettamente regolata dalle normative, i fatti dimostrano invece come i cacciatori siano la categoria più interessata e attivamente impegnata nella salvaguardia dell’ambiente, del territorio e nella tutela della biodiversità. Durante le operazioni di spegnimento dell’incendio che ha così duramente colpito il Monte Serra sono stati tanti i cacciatori a prestare la loro opera al fianco delle squadre intervenute e a mettere a disposizione la loro conoscenza del territorio nelle mani esperte e preziose del coordinamento di soccorso. Questo non basta a far cessare in certi ambienti un atteggiamento di contrarietà, di diffidenza e di sfiducia nei nostri confronti. Al contrario, anzi, si fanno dichiarazioni e si diramano comunicati nei quali – chiedendo la chiusura della caccia nelle zone colpite dal fuoco – i cacciatori vengono fatti percepire come spinti dal cieco istinto predatorio, come se non fossero interessati a nient’altro che non sia il richiamo del ‘sangue’. Una brutta e falsa ‘caricatura’ della figura del cacciatore, ma quanto mai efficace, nell’epoca della semplificazione di massa di ogni concetto, per contrapporre la categoria del ‘buon ambientalista’ a quella del ‘cacciatore cattivo’. Si chiede la chiusura della caccia motivandola con argomentazioni tecnicamente discutibili e pareri dell’allora Istituto per la fauna selvatica vecchi di diciotto anni, oltretutto – come quelli oggi di Ispra, che ne ha preso il posto – non vincolanti. La Cct ha compreso e condiviso – di fronte alla eccezionale gravità dell’evento – l’istituzione della fascia cuscinetto attorno ai terreni colpiti dal rogo, ma se ne sorvola volutamente la bontà pur di continuare a demolire a priori la caccia. Si sostiene – in modo stravagante – che i cacciatori metterebbero a repentaglio la sicurezza dei cittadini, malgrado la loro attività venga svolta nel rispetto delle distanze di sicurezza dalle strade, dalle case e dai mezzi in movimento. Non solo i cacciatori non intralcerebbero le operazioni di bonifica e di ripristino delle aree percorse dal fuoco, già per legge precluse alla caccia per un periodo di 5 anni, ma al contrario sarebbero i primi volontari per ripulire e bonificare le zone disastrate. Il mantenimento della caccia al cinghiale nella fascia di rispetto – contrariamente a quanto si richiede – è una scelta ponderata e opportuna: gli ungulati sfuggiti al fuoco si sono rifugiati nella zona cuscinetto raggiungendo probabilmente una densità per ettaro tale da provocare danni all’agricoltura e all’ecosistema. Inoltre, l’impatto della caccia in braccata non mette a repentaglio nessuna specie di fauna selvatica nel periodo in cui questa è prevista dalla Legge, ovvero dal 1 novembre al 31 gennaio. È altresì da respingere con fermezza la tesi secondo la quale le armi usate nella braccata al cinghiale siano di per sé pericolose. È il mancato o insufficiente rispetto delle regole comportamentali – da ambo le parti – la vera causa degli incidenti che talvolta, purtroppo – ma sempre in misura minore alla stragrande maggioranza delle attività svolte all’aria aperta – avvengono durante questa tipologia di caccia sulla quale, peraltro, le Associazioni mantengono costantemente l’attenzione e lo sforzo formativo. Assolutamente irricevibile, infine, la proposta di trasformare l’Anpil in Riserva naturale. Si finirebbe solo per imbalsamare un territorio che necessita invece di un’armonica rinascita in cui natura e attività umane vadano a braccetto all’insegna della sostenibilità ambientale. Per quanto Legambiente, che si è fatta portavoce di questo atteggiamento di chiusura, possa credere il contrario, la caccia e i cacciatori sono importanti per il raggiungimento di questo auspicato traguardo”.