Coronavirus, un ristorante ogni 5 non riaprirà. Moratoria su tasse e affitti, regole certe e niente plexiglass per salvare il lavoro

"Non si può vivere senza ristorazione ma pareggiare i bilanci diventa impossibile"

Chi conosce il settore prevede un crollo immediato del 20-30 per cento. Più di 2 locali su 10, in pratica, a giugno potrebbero non riaprire più, soprattutto nei centri storici e fra le aziende nate nell’ultimo anno, mentre un altro 20% potrebbe chiudere dopo l’estate, quando le regole di distanziamento sociale e la minor propensione a spendere renderanno impossibile far quadrare i bilanci, convincendo tanti altri a gettare la spugna. È il quadro impietoso che i ristoratori della zona si attendono per il prossimo futuro di bar e ristoranti, a meno che la politica non intervenga con una moratoria sugli affitti e sulle tasse che permetta anche di salvare l’occupazione.

“Bisogna iniziare a pensare seriamente all’indotto occupazionale del turismo e della ristorazione”, dice lo chef Paolo Fiaschi, titolare del noto ristorante Papaveri e Papere e del bistrot Garum di San Miniato, nonché del ristorante Papaveri e Mare di San Vincenzo. In tutto 16 dipendenti in cassa integrazione “che ancora non hanno visto un euro”. “Da circa un mese – spiega Fiaschi – offriamo col bistrot il servizio a domicilio, mentre col ristorante stiamo facendo una valutazione ma probabilmente lasceremo perdere. Fare il domicilio o l’asporto è un altro tipo di lavoro, un palliativo che può funzionare per le realtà a gestione familiare”.

Anche i pochi soldi incassati, comunque, non bastano certo a compensare i costi fissi. “Affitti e bollette continuano a gravare sulle nostre aziende – continua lo chef -. Molti di noi si sono già scontrati con proprietari intransigenti che in certe località continuano a pretendere 8mila euro di affitto quando il locale è chiuso da due mesi. Mi aspetterei almeno una mano dal Governo e dagli enti locali per cancellare la tassazione e non per rinviarla”.

A questo si aggiunge poi l’incognita delle nuove misure di sicurezza sulle quali qualcuno sta già cercando di speculare. “Sia chiaro – dice Fiaschi – se devo riaprire con i pannelli in plexiglass allora non riapro, anche se per fortuna dalle associazioni di categoria stanno arrivando segnali rassicuranti: l’obiettivo è evitare misure inapplicabili. Anche per la sanificazione basterà un’autocertificazione con un piano di controllo, altrimenti avremmo rischiato di dover chiamare ditte specializzate dai preventivi esorbitanti. Eppure non passa giorno che non riceva chiamate, messaggi o mail di ditte che offrono sanificatori e plexiglass, cercando di speculare sull’emergenza. Dal governo servirebbe più chiarezza: se il 1 giugno riapriamo diteci adesso cosa servirà, non venite a dircelo il 31 maggio”. Tra le regole certe ci sarà comunque il distanziamento sociale, che rischia di ridurre addirittura di un terzo il numero di coperti: “Ho sentito diversi colleghi – riprende Fiaschi – e credo che un buon 30% non riaprirà. Pensiamo a tutti quei localini nei centri storici che non avranno più un numero di coperti sufficiente per mantenere l’attività”.

In questa situazione, una delle proposte avanzate per sostenere i ristoratori è arrivata da Slow Food, attraverso la rete delle Città Slow di cui San Miniato fa parte: l’idea è di offrire a turisti e clienti dei voucher da usufruire in un prossimo futuro, permettendo così ai locali di ricevere subito un po’ di liquidità. Eppure la proposta non convince, “perché è come un prestito senza interessi da parte dei clienti – commenta Fiaschi -. Quando poi riapro avrò comunque un periodo senza incassi, quindi servirebbe solo a spostare il problema in avanti”. Da parte dei ristoratori c’è quindi la consapevolezza che l’emergenza coronavirus lascerà dietro di sé delle vittime, ma che alla fine si dovrà comunque tornare alla vita di sempre: “Perché non riesco – conclude lo chef – a immaginare un mondo senza la ristorazione com’era prima, non solo in Italia ma anche in Paesi come la Spagna, la Grecia e la Francia che hanno una cultura della ristorazione simile alla nostra. Prima o poi passerà tutto perché non si può vivere senza”.

Il problema ovviamente è quanto si dovrà attendere. “Almeno fino a settembre o ottobre per ricominciare a vedere qualcosa, ma anche allora non saremo ai livelli di prima” risponde Luca Sardelli, presidente di Confesercenti Pontedera e rappresentate di Fiepet Toscana Nord (la Federazione italiana degli esercenti pubblici e turistici). “Le aziende più giovani, almeno quelle che hanno aperto dallo scorso settembre in poi – dice Sardelli – saranno tutti fallimenti certi, perché un’impresa che partiva con un debito di 30 o 50mila euro non può sostenere una situazione come questa. Se anche il 1 giugno riapriamo ci vorranno 4 o 5 mesi prima di rivedere gente nei nostri locali”.

Eppure, secondo Confesercenti, è importante tornare a riaccendere ugualmente le luci di bar e ristoranti. “Alcuni colleghi che stanno facendo l’asporto o le consegne a domicilio incassano 50 o 70 euro al giorno – spiega Sardelli -. Al netto delle spese è probabile che restando chiusi risparmiano qualcosa. Eppure l’unico modo è tornare a farsi vedere: è un segnale di ripartenza che dobbiamo dare”.

Accanto ai sacrifici, però, gli esercenti chiedono anche un sostegno vero da parte delle istituzioni. “Serve innanzitutto una moratoria sulla tassazione locale per tutto il 2020 – prosegue Sardelli – unita ad un sostegno concreto per quei proprietari coscienziosi che riducono gli affitti. E poi serve più chiarezza sulle regole che dovremo rispettare: l’ordinanza regionale parla di 1 metro e 80 di distanza, mentre per quella nazionale sembra che basti un metro. Per i nostri locali è una differenza enorme. Come esercenti siamo i primi a voler tutelare la salute della clientela, ma in qualche modo dobbiamo essere aiutati”.

“Anche perché il lavoro si ridurrà del 60-70 per cento”, aggiunge Raffaele Saviano della pizzeria Rewind di Pontedera, che nella migliore delle ipotesi sarà costretta a ridurre da 70 a 30 il numero di coperti, rinunciando ai quattro stagionali part-time che lavoravano nel locale fra la primavera e l’estate. “Ma il coronavirus non è la causa di tutti i mali – dice – Già prima le partite Iva erano messe sotto stress dal contesto economico e finanziario, il Covid è stato solo il colpo di grazia. Per le nostre imprese sarà una catastrofe: un 20 per cento a giugno non aprirà, mentre un altro 30% secondo me si perderà dopo l’estate, perché pareggiare i bilanci diventerà impossibile. Serve quindi una liquidità a fondo perduto, perché non si cancella un debito con un altro debito”.

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