“Il futuro dell’industria conciaria dipende dalla capacità di diventare sistema”. Innovazione, cooperazione e welfare le sfide del Comprensorio

"Occorre provare a cambiare anche se non sappiamo ancora bene come farlo" è l'invito del professor Villa, che conclude così la sua analisi

Una messa in discussione dei sistemi produttivi e un impiego delle risorse nella transizione e nel contenimento dei rischi che questa porta con sé. Questa è la via indicata da Matteo Villa (qui), docente di sociologia economica all’università di Pisa, nella sua riflessione sulle conseguenze della crisi da Coronavirus. Dopo le prime due sezioni sulla crisi economica (leggi qui) e quella ecologica (leggi qui) di respiro ampio,  ecco quali sono le prospettive del comprensorio del cuoio a chiudere il cerchio.

Pensare globalmente, agire anche localmente, anche nel distretto del cuoio

Queste ed altre misure non possono avere successo se solo imposte dall’alto. Un’altra cosa che la crisi del Coronavirus ci può insegnare è come la collaborazione a tutti i livelli della società è necessaria e con essa la fiducia tra le persone e tra queste e le istituzioni, la capacità di cure di entrambe. In Italia in particolare, dobbiamo superare i vissuti di reciproca diffidenza che fanno dei cittadini un potenziale pericolo per le istituzioni e viceversa. Ma nemmeno possiamo aspettarci che le sole istituzioni siano in grado di far fronte a tale complessità. La mobilitazione dei cittadini, delle associazioni, delle imprese e dei gruppi informali sono altrettanto essenziali. Molte esperienze testimoniano che dal basso si possono creare modelli e stili di vita, lavoro e produzione più sostenibili e che le istituzioni possono svolgere un ruolo importante per sostenerle (Alcuni esempi in: Matthies A-L., Närhi K. (2017), The Ecosocial Transition of Societies. The contribution of social work and social policy, Routledge, London; Villa M. (2016), The transformative role of the social investment welfare state towards sustainability. Criticisms and potentialities in fragile areas, in “Sociologia e Politiche Sociali”, 3, pp. 29-49).

Nel comprensorio pisano del cuoio, tutte queste questioni si pongono in modo simile ma anche con caratteristiche proprie. Negli anni successivi alla crisi del 2008, soprattutto a partire dal 2012, una pesante crisi economica ha messo in grave difficoltà la tenuta del distretto industriale, con importanti effetti sull’occupazione, sulle imprese e sulla tenuta del welfare locale (Si veda: Bonetti M. e Villa M. (2018), Innovare le politiche sociali in contesti di crisi. Una ricerca-azione locale tra apprendimento e trasformazione organizzativa, in Salvini A. (a cura di), “Crisi socio-economica, nuove forme della diseguaglianza e sviluppo sociale”, Pisa University Press). Ora la nuova crisi può certamente avere effetti simili, portando ad un incremento dei tassi di disoccupazione e al fallimento delle imprese più fragili. Tuttavia, in base a quanto sopra discusso dovrebbe essere vista in una prospettiva diversa. Il futuro dell’industria conciaria, come di altre, dipende dalla propria capacità di diventare sistema, e sistema sostenibile anche da un punto di vista ambientale. I fondi di investimento e il sistema bancario sempre più introducono criteri di sostenibilità nei propri meccanismi di finanziamento (leggi qui). L’azione dell’Unione Europea appare ancora molto contradditoria ma inevitabilmente dovrà dare sostanza alle idee ancora scarsamente elaborate contenute nel cosiddetto Green Deal (European Commission (2019), Communication from the Commission to the European Parliament, the European Council, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions. The European Green Deal, COM(2019) 640 final, Brussels, 11.12.2019). Una innovazione in tal senso sarà indispensabile, per il semplice fatto che non ci sono alternative.

Di qui, come alcuni già rilevavano durante la crisi precedente, la possibilità del distretto pisano di affrontare questa crisi dipende in modo fondamentale dalla capacità dei suoi attori di sviluppare un’azione collaborativa e coordinata che coinvolga le imprese, le organizzazioni dei lavoratori, le istituzioni pubbliche ed eventuali investitori economici. I tentativi di innovazione nei tipi di materiali, nei processi produttivi, nell’uso delle tecnologie e delle fonti energetiche richiederanno, come avviene in altri contesti, una profonda ridefinizione organizzativa in grado di valorizzare le competenze presenti e la creazione o acquisizione di competenze nuove in grado di accompagnare i processi. Le soluzioni potranno emergere tanto da un attento lavoro di studio e pianificazione quanto dalla pratica quotidiana e dagli scambi informali. Ma occorrerà una organizzazione flessibile e collaborativa, in grado di coglierle e tradurle in pratiche, anche attraverso sperimentazioni sostenute dall’attore pubblico. Il sistema di welfare, in particolare le politiche sociali, del lavoro e dell’istruzione, potranno svolgere un ruolo importante per accompagnare le oscillazioni occupazionali, per sostenere e riqualificare i lavoratori e per costruire modelli solidali di distribuzione del lavoro, gestione dei servizi e conciliazione fra produzione e vita familiare e comunitaria.

In generale, il ripensamento del sistema industriale dovrebbe avvenire nel contesto di una più ampia trasformazione dell’economia e della società locale: ogni cambiamento di parte del sistema influisce sull’altra e solo un’azione coordinata permette di ridurre i rischi di effetti perversi, conseguenze diseguali e contraddizioni insolubili. Tutto questo appare ed è estremamente complesso. Ma non esistono scorciatoie e, come dicono i movimenti ambientali giovanili, occorre provare a cambiare anche se non sappiamo ancora bene come farlo. Non fare nulla e proseguire come sempre è molto più rischioso e non dovrebbe essere una opzione.

Sortirne tutti insieme

Il primo passo potrebbe darsi proprio in questa primavera silenziosa, riflettendo attorno ad essa nei termini di una crisi ecologica, ovvero di una crisi del nostro modo di vivere l’ambiente di cui siamo parte. Non è rimandabile e, come diceva Albert Einstein, non è risolvibile con gli stessi strumenti e il livello di coscienza che l’hanno creata. O come direbbe Gregory Bateson, con il livello di apprendimento che non ci ha permesso di vedere per molto tempo le implicazioni sulla vita delle scelte compiute. E per quanto alcuni, soprattutto tra chi ha più risorse, si affannano a predisporre un rifugio per sé e la propria famiglia di fronte alle possibili sciagure, nessuno dovrebbe pensare di cavarsela da solo. Una crisi ecologica coinvolge tutti. Come dicono alcuni studiosi, è una questione eminentemente politica e, come diceva don Milani, “il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne da soli è l’avarizia. Sortirne tutti insieme è la politica”.

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