Sblocco licenziamenti, Mainardi: “Giugno è presto, serve almeno fino settembre o perdiamo lavoratori” foto

"La conceria sarà tra le prime a ripartire, ma nel 2022: dobbiamo arrivare fino a lì o il Distretto cambierà volto"

Adesso o il 30 giugno cambia poco. Per i nostri settori, il blocco dei licenziamenti dovrebbe durare almeno fino a dopo le ferie estive, a settembre, anche se sarebbe meglio arrivare a fine anno, a dicembre. Il 30 giugno non basta perché se si sbloccano i licenziamenti quando ancora ordini e produzione sono in un momento down, tutti accedono all’ammortizzatore sociale unico che è allo studio, qualsiasi sarà e quindi siamo sempre fermi allo stesso punto”.  Ne è certo il segretario provinciale FilcTem Cgil Loris Mainardi, per il quale non si può ragionare che per settori se si vuole perseguire la ripartenza, sbloccando prima chi dà segnali di ripresa.

Di più in un Paese, come l’Italia, dove la doppia velocità e la diversità (di produzioni, ritmi e tutto il resto) sono la norma, oltre che la ricchezza. “Nel nostro Distretto – spiega ancora Mainardi – sbloccare i licenziamenti un mese prima o dopo può significare qualche centinaio di posti di lavoro persi in più o in meno. Per alcune famiglie, può anche significare perdere 2 stipendi”.

Numeri alla mano, vuol dire dover ridisegnare un distretto. “Le stime parlano di esuberi per 1.300 persone, oltre il 20 per cento dei quasi 6mila addetti del Cuoio. Se dovessero diventare reali, a catena chiude tutto: bar, alimentari, servizi e tutto il resto. Cioè vuol dire cambiare volto al territorio. Bisogna dire che l’Asia è ripartita, quindi un po’ di movimento si inizia a vedere e se il trend fosse confermato sarebbe già una boccata d’ossigeno. E una bella mano al ritorno degli ordini in concia la darebbe la ripartenza degli Usa, così da arrivare a una fine 2021 che possa far sperare nella ripresa del 2022“.

Anche perché, se ci sono segnali di ripresa, “gli imprenditori del nostro territorio ci mettono fiducia, non chiudono e non riducono gli occupati. Ora è difficile fidarsi: il 2019 non era stato buono, il 2020 è stato l’anno del blocco e quindi è normale che qualcuno pensi di chiudere, piuttosto che continuare a buttare soldi senza avere prospettive neppure per la seconda metà di questo 2021″.

Intano, “a noi continuano ad arrivare richieste di cassaintegrazione da ormai quasi tutte le aziende del Distretto e il conto terzi sta male“. Per Mainardi, la soluzione è di ragionare per settori. Anche tenendo conto che “quando riparte la concia, il calzaturiero e la pelletteria hanno ancora altri 6 mesi davanti perché sono a valle della stessa filiera produttiva”.

Per questo, secondo il segretario, “Per la moda, la concia e il calzaturiero in particolare, bisognerebbe andare a dicembre con il blocco dei licenziamenti o, al minimo, dopo le ferie estive perché se anche ci fosse un inizio di ripresa, magari non omogenea, togliere il blocco a tutti insieme avrebbe effetti diversi: nella concia si potrebbero ridurre i licenziamenti se l’impresa ha davanti solo qualche mese di cassaintegrazione in più, ma la concia è a monte della filiera, quindi in teoria è la prima a ripartire.

Diverso sarebbe togliere il blocco quando c’è già una prospettiva di ripresa del mercato, almeno a settembre: gli esuberi ci sarebbero ancora, ma sarebbero molti meno e alcune aziende con alte professionalità potrebbero decidere di fare qualche altro sacrificio per tirare avanti”. Perché il problema è più che altro di prospettiva: se ho una piccola azienda con grandi professionalità difficili da ritrovare, piuttosto che licenziare qualcuno senza sapere a cosa stiamo andando incontro, chiudo tutto. E così il Distretto perde quel nucleo produttivo, ma anche quella professionalità.

Prima del blocco, insomma, serve levare l’incertezza o il risultato sperato, la ripartenza, non si ottiene. Almeno per un settore particolare come quello della moda, difficile da far ripartire con i negozi chiusi e la gente in casa, che ormai da un anno sta in ciabatte, alternando tuta e pigiama per gran parte dei giorni.

“L’unica strada – quindi – potrebbe essere quella di allentare i blocchi per settore, a cominciare da chi sta già lavorando un po’, così che gli ordini spingano il lavoro e questo i consumi, in un circolo virtuoso che si alimenti da solo e porti alla riapertura totale un passo alla volta. Il compito della politica nel frattempo, deve essere portare aziende e lavoratori a quando si ripartirà davvero”.

Con una campagna vaccinale che metta la quinta, intanto. “Se il piano vaccinazioni fosse partito veloce, almeno le grosse case di moda avrebbero ricominciato a lavorare. Ma qui si parla di vaccinazioni a livelli interessanti entro giugno 2022. Bisogna arrivarci…”. Anche, volendo, coinvolgendo le aziende. “Ora le dosi a disposizioni sono poche, ma se fossero di più, potrebbero essere per esempio messe a disposizione di un’azienda che vuole vaccinare i dipendenti perché più gente si vaccina, prima si riparte per davvero, non così che il venerdì sai cosa succede il lunedì”.

Anche se, almeno sul comprensorio, nelle aziende non ci sono stati problemi di contagio. “So di aziende che hanno avuto momenti di difficoltà per i dipendenti in quarantena, ma non legate al posto di lavoro, magari legate ai figli o altri familiari risultati positivi o contatti di positivi. Per quanto ne sappiamo, nelle nostre aziende non ci sono stati focolai”. Perché c’è meno gente al lavoro, certo, “ma anche perché si rispettano le misure di sicurezza”.

Ogni tanto, però, qualche imprenditore si lascia tentare e non sono rare le “incursioni dei veneti” nel comprensorio. “Hanno problemi ambientali sui loro territori, quindi va bene se si interessano alle nostre aziende. Semmai il problema potrebbero rivelarsi i Fondi, perché non sempre vengono a fare investimenti. L’interesse che dimostrano, comunque, è un segnale che nel 2022 la conceria sarà uno dei primi settori a ripartire e in maniera importante perché è un monte della filiera. Bisogna resistere fino a quando ci si arriva e mantenere il blocco dei licenziamenti mentre si potenzia la campagna vaccinale potrebbe essere una strada”.

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