Gestire il rischio per incrementare i guadagni dei propri investimenti

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Da sempre, il concetto di guadagno di un investimento è stato associato a quello di rischio: la regola generale è che, di norma, ad un rischio maggiore corrisponde un guadagno potenziale maggiore

Tuttavia, secondo gli esperti finanziari di Abile Trader ci frequenti i casi in cui un investitore trascura o sottovaluta determinati fattori connessi alla propria operazione di investimento, con la paradossale conseguenza di vedere incrementare il rischio di perdita a fronte di un guadagno potenziale minore o uguale a quello di investimenti più sicuri.

Al fine di dare una guida agli investitori, abbiamo raccolto informazioni sulle principali di tipologie di rischio di investimento in modo tale da consentire un’ottimizzazione dei guadagni di trading.

Il re di tutti i rischi: il rischio di mercato

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Il rischio principale di ogni investimento finanziario è dato dalla possibilità che il valore di un asset quotato registri una riduzione, con conseguenti perdite per un investitore che ha acquistato questo titolo

Sebbene questa tipologia di rischio possa essere intuitivamente semplice da comprendere, la sua effettiva misurazione a priori risulta essere un’operazione decisamente complessa. Tra gli strumenti utilizzati per tale calcolo troviamo, ad esempio, l’indicatore Expected Shortfall (in italiano “perdita attesa”), che, di fatto, attribuisce una probabilità percentuale alla possibilità di registrare una perdita ingente su ogni investimento. Intuitivamente, dunque, minore sarà tale probabilità, minore sarà il rischio di mercato calcolato su un determinato investimento.

Gli indicatori di rischio di mercato possono risultare complessi da calcolare (ad esempio su asset di recente quotazione, sui quali i mercati hanno ancora poche informazioni storiche a disposizione). Una buona soluzione è quella di inserire nel proprio portafoglio titoli che, senza la necessità di svolgere calcoli complessi, possano risultare meno rischiosi per propria natura, ad esempio è lecito aspettarsi che un investimento in un titolo derivato sia più rischioso di quello fatto su un bond governativo con rating AAA.

Attenti alle false occasioni sui mercati: il rischio di liquidità ed il rischio di credito

Vi sono poi altri due tipologie di rischio che un investitore non può permettersi di ignorare:

Rischio di credito: per rischio di credito si intende la possibilità che l’entità che emette un asset quotato (un’azienda o uno Stato sovrano) si trovi ad affrontare difficoltà finanziarie che minaccino la possibilità della stessa entità di ripagare i propri debiti. Nel caso di default di un’azienda (o di un intero Paese) l’investitore registrerà forti perdite in primis sulle azioni di quella società (o, nel caso di fallimento di uno Stato, sulle azioni quotate nei listini di quel Paese), e, nel caso peggiore, non verrà rimborsato per l’acquisto dei bond emessi dall’azienda (o dal Governo)

Rischio di liquidità: non tutti i titoli finanziari godono del lusso di avere ingenti volumi di scambio giornalieri. Capita, infatti, che vi siano asset quotati con scambi quotidiani molto ridotti e, dunque, con evidenti potenziali problemi per un investitore nel momento in cui, avendo registrato un guadagno teorico (o, peggio, una perdita importante), questi decida di vendere l’asset in questione: non è infatti detto che un trader in questa situazione riesca a vendere con semplicità i propri titoli, sono frequenti i casi in cui, per farlo, occorre accettare un prezzo di vendita decisamente inferiore rispetto a quello quotato dal mercato in un certo momento

Il motivo per cui abbiamo messo insieme queste due tipologie di rischio è che un’errata valutazione di uno di questi (o, nel peggiore dei casi, di entrambi) può creare l’illusione di aver trovato sui mercati un’occasione d’oro di investimento.

Un ottimo esempio di questa casistica, più frequente di quanto si possa pensare, è dato dalle cosiddette “penny stock”, ovvero titoli azionari con quotazione inferiore al dollaro per azione. Sebbene un trader possa essere interessato ad investire in un titolo simile – capita, infatti, che alcune di queste penny stock possano vedere aumentare (o calare) la propria quotazione molto rapidamente vista la forte pressione speculativa tipicamente presente su questi titoli – occorre valutare se vi siano scambi di volume rilevante sul mercato sulle azioni in questione e se l’azienda che ha emesso questi titoli abbia problemi di credito o meno.

Nel caso peggiore, un investitore può essere tratto in inganno dal prezzo basso di questo genere di azioni senza valutare in maniera corretta il fatto che i) il titolo è una penny stock per via del fortissimo indebitamento dell’azienda che ha emesso azioni, il mercato prezza il rischio che la società vada in bancarotta da un momento all’altro, e ii) se il trader riuscisse a registrare un guadagno, potrebbe trovarsi impossibilitato a vendere il titolo per via di una bassa liquidità dello stesso.

L’esempio fatto qui non è un caso scolastico, purtroppo sono molte le situazioni nelle quali tanti trader si sono trovati a rimanere con un cerino in mano in seguito ad un’errata valutazione del rischio (a contrario, magari, del management dell’azienda, che spesso abbandona la nave poco prima che questa affondi).

Il ruolo della diversificazione dell’investimento nella riduzione del rischio di concentrazione

Per “rischio di concentrazione” si identifica l’esatta valutazione della correlazione nei movimenti dei prezzi dei titoli presenti nel portafoglio di un trader. Sebbene la correlazione sia un concetto matematico meno semplice di quanto si possa pensare, la comprensione di questo rischio è, in realtà, molto intuitiva: concentrare i propri investimenti in un settore particolare comporta un aumento del rischio di perdita, in quanto non è semplice (e, anzi, è talvolta impossibile) prevedere con esattezza l’arrivo di un momento di crisi settoriale.

Su questo tema, è interessante conoscere l’opinione del guru della finanza Warren Buffett, per molti anni presente nella lista dei 10 uomini più ricchi al mondo grazie al suo fiuto per gli investimenti. La posizione di Buffett sulla diversificazione è molto famosa per via di quello che lui chiamò “l’errore della diversificazione”. Spesso la citazione di Buffett viene storpiata, il messaggio che il guru volle far passare fu quello che la diversificazione è, in realtà, un’eccellente strategia di investimento per il 99% degli investitori (ovvero coloro che non investono per professione), per chi invece opera sui mercati per lavoro tramite un approfondito lavoro di ricerca, diversificare il proprio portafoglio può essere un forte limite dei guadagni (se, ad esempio, ricercando informazioni, un investitore professionale arriva alla conclusione che sia un buon momento per investire nel settore dei metalli preziosi, per quale motivo dovrebbe riservare una parte del portafoglio all’investimento su settori da lui giudicati meno promettenti?).

Il consiglio di Buffett è dunque chiaro: sebbene la diversificazione resti una buona regola di investimento, occorre tenere a mente che in alcuni casi può portare a veri e propri errori sul mercato. Maggiore il tempo che viene dedicato da un investitore alla ricerca dei propri investimenti, minore sarà di norma il grado di diversificazione richiesto

Investire tutelandosi dall’inflazione

Un rischio al quale non molti trader pensano – anche per via dello scenario macroeconomico generato dalle ultime crisi finanziarie – è quello dell’inflazione. Anche in questo caso, il concetto è piuttosto semplice: un investimento che, dopo 12 mesi, porta ad un guadagno inferiore al valore dell’inflazione annua in un’economia è un investimento in perdita, in quanto il valore del denaro utilizzato per investire è calato in maniera maggiore rispetto all’aumento registrato dal valore nominale dell’investimento.

Due ottime strategie per tutelare il proprio portafoglio dal rischio inflattivo sono gli investimenti nei cosiddetti “beni rifugio” (storicamente, ad esempio, l’oro ha dimostrato di appartenere a questa categoria, registrando una crescita nel proprio valore di mercato nei periodi nei quali il timore di un’elevata inflazione era presente) o in titoli di Stato il cui rendimento è ancorato, per contratto, al valore dell’inflazione registrato in un’economia.

 

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