Lavoro nero, Mainardi: “I controlli non bastano”

I controlli ci sono ma non bastano. Troppo pochi per tenere sott’occhio la galassia di piccole e piccolissime aziende che caratterizza il comprensorio. Una galassia dove il confine tra legalità e illegalità, specie in tempi di crisi, finisce spesso per diventare sfumato. A dirlo è Loris Mainardi, segretario della Filctem Cgil pisana, che commenta così la recente scoperta di lavoratori in nero in due calzaturifici di San Romano gestiti da imprenditori cinesi. (leggi qui)

“I controlli ci sono – dice – ma purtroppo sono limitati dai tagli al personale. Mediamente, in un singolo comune, si parla di alcune decine di controlli l’anno da parte dell’Ispettorato del lavoro. Se si considera che solo a Santa Croce ci sono oltre 400 aziende è chiaro che c’è una buona percentuale di soggetti che non verrà mai controllato”. Secondo Mainardi, quindi, il primo vero controllo per arginare il problema del lavoro in nero dovrebbe essere all’origine della filiera. “Non penso proprio – afferma – che questi laboratori stessero lavorando per un’azienda di Hong Kong. I lavoratori erano cinesi ma gli articoli a cui stavano lavorando erano italiani. Il vero problema quindi non sono i cinesi, ma le aziende di zona che scelgono di servirsi di questi laboratori. Sarebbe l’ora che gli industriali mettessero da parte questa omertà isolando chi se ne approfitta, perché è inutile poi parlare di codice etico e di moralità finché ci sono queste situazioni. Non dimentichiamo mai che è prorpio questa gente a mettere in difficoltà le aziende serie”.
Da qui l’appello a risalire all’origine della filiera: “Mi auguro che le indagini vadano fino infondo – aggiungee il sindacalista – perché finché ci si limiterà ad affrontare il problema solo a valle non si risolverà mai niente: al posto dei laboratori sospesi ne arriveranno sempre altri”. A detta di Mainardi, del resto, il problema del lavoro in nero appare mai come adesso un fenomeno in crescita. “Non ci prendiamo in giro – conclude – ci sono persone in mobilità o che hanno perso il lavoro che accettano di lavorare anche in nero per sostenere la famiglia. E questo avviene nel calzaturiero ma anche fra i terzisti della conceria”. (g.p.)

 

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