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La Pelle riparte da Bruxelles: “Dobbiamo restare vigili e conoscere le intenzioni dei nostri rappresentanti in anticipo per poterli guidare”

3 luglio 2025 | 11:46
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La Pelle riparte da Bruxelles: “Dobbiamo restare vigili e conoscere le intenzioni dei nostri rappresentanti in anticipo per poterli guidare”

“Non siamo contro le azioni di contrasto alla deforestazione o contro i regolamenti a tutela di ambiente, salute, sicurezza, ma non vogliamo essere accusati di colpe che non abbiamo”

I dati preliminari della concia italiana e i risultati delle filiere europee ed extraeuropee l’avevano già lasciato intendere: è stato un 2024 difficile per la pelle. I Risultati Economici dell’Industria Conciaria Italiana elaborati da UNIC – Concerie Italiane confermano la complessità della congiuntura. Nel 2024 il volume di produzione italiano è calato del 4,1% su base annua (-6,7% quello del cuoio suola), mentre il valore è calato del 4,5%, assestandosi a 4,1 miliardi di euro.

La congiuntura ha aspetti inediti, per il presidente Fabrizio Nuti: “Le difficoltà sono diffuse e generalizzate – ha detto -, non sembrano risparmiare nessuno dei principali segmenti di produzione delle nostre concerie”. E così, mentre il lusso deve ricostruire il rapporto con la clientela sulla base di un rinnovato value for money e le tensioni geopolitiche spaventano un pubblico già freddo, le concerie italiane si devono riorganizzare sul piano industriale. “Le imprese si aggregano, le filiere si integrano, gli approvvigionamenti e gli investimenti finanziari si diversificano. Le offerte produttive, intanto, si ampliano o si concentrano, a seconda delle esigenze specifiche – continua Nuti –. Secondo me, è un segno di salute per il settore, un indicatore del dinamismo che continua a pervadere il nostro mondo. Un brand del lusso non investe nel capitale sociale di una conceria se non crede nel materiale pelle. Così come un fondo finanziario non lo farebbe se reputasse che il business conciario non sia interessante nella marginalità di profitto”.

Secondo le elaborazioni di Unic, l’export della pelle italiana è calato del 3,6% a 2,8 miliardi. Pur nel momento complesso, la concia italiana si conferma leader continentale e globale. Vendendo materiali in 121 Paesi, l’Italia rappresenta il 67% del valore della produzione europea (25% di quella mondiale) e il 62% del volume (31% di quella mondiale). Al contempo la produzione della concia italiana si rivolge prevalentemente al premium/top di gamma (65,9%), ma è in grado di servire anche al segmento medio-basso (cui va il residuo 34,1%).

L’esperienza dell’EUDR, che tante energie e sforzi di mediazione ha richiesto senza che si sia ancora addivenuti a una soluzione soddisfacente per la concia italiana, è stata determinante. Se è a Bruxelles che si giocano le sfide future, come un regolamento condivisibile negli obiettivi di contrasto alla deforestazione ma non nel modo in cui coinvolge la pelle bovina, è su Bruxelles che bisogna investire. “È per questo motivo che ho fortemente voluto l’istituzione di un presidio molto più importante per Cotance – ha detto Fabrizio Nuti –. Vogliamo che diventi il riferimento delle associazioni del prodotto in pelle e dei prodotti naturali come il cashmere e la lana, coi quali condividiamo problemi comuni”.

L’assemblea di UNIC è stata occasione per riepilogare le attività dell’associazione in una congiuntura tanto complessa. A proposito delle relazioni internazionali e delle urgenze industriali, parlare di UE è stato inevitabile. “Negli ultimi 4 anni le mie energie sono state assorbite dal contrastare il provvedimento. Senza l’esclusione della pelle bovina – sono le parole di Nuti – o perlomeno una sostanziale semplificazione degli oneri burocratici, l’EUDR avrà effetti devastanti sul nostro settore”.

Dal 2021 l’ufficio di presidenza di UNIC ha scritto lettere. Nonché incontrato europarlamentari ed esponenti di tutte le forze politiche, e poi funzionari, tecnici, lobbisti. Sono state sollecitate diverse interrogazioni parlamentari a Bruxelles. L’associazione ha incaricato studi legali specializzati, organizzato 18 seminari e webinar, inviato oltre 120 comunicazioni ai politici e oltre 50 alle aziende associate. Un’attività incessante e senza requie. “Il 3 giugno al Parlamento Europeo abbiamo presentato lo studio della Scuola Superiore Sant’Anna che dimostra come la pelle non sia un driver della deforestazione – ha raccontato Nuti –. Il 16 giugno ho incontrato il vicepresidente del Consiglio Antonio Tajani, che il giorno stesso ha scritto alla presidente Ursula Von der Leyen e al Commissario al Commercio Šefčovič”.

Proprio perché non si ripetano incidenti del genere (regolamenti scritti male e su premesse sballate) che la pelle italiana investe su una nuova e più funzionale sede a Bruxelles. “Dobbiamo restare vigili e conoscere le intenzioni dei nostri rappresentanti in anticipo. Così da poterli guidare – prosegue il presidente UNIC –, ovviamente con tutti gli strumenti assolutamente trasparenti a disposizione, verso provvedimenti che non mettano a rischio la nostra stessa sopravvivenza. Voglio essere chiaro: noi non siamo contro le azioni di contrasto alla deforestazione, o contro i regolamenti a tutela dell’ambiente, della salute, della sicurezza, ma non vogliamo essere accusati di colpe che non abbiamo”.