Iniziativa di base: “Castelfranco pensi al sociale, no gender”

27 gennaio 2016 | 11:52
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Iniziativa di base: “Castelfranco pensi al sociale, no gender”

Accende la polemica il caso di Renaza Venanzi, che lunedi scorso, 25 gennaio, ha inscenato una protesta sui gradini del Municipio di Castelfranco per chiedere lavoro (leggi anche: Castelfranco, seduta davanti al comune per un lavoro). A tornare sul fatto, oggi, è il movimento politico Iniziativa di Base. 

“E’ di pochi giorni fa la notizia dell’autotassazione operata dai nostri amministratori per consentire alla Dott.ssa Michela Marzano di presentare e, udite udite, vendere il proprio libro sulla teoria gender” scrivono dal movimento. “Ognuno con i propri denari può fare ciò che vuole, per carità, ma sarebbe quanto meno opportuno che, quando a frugare le proprie tasche sono gli amministratori di un comune sull’orlo del fallimento finanziario, ciò venisse fatto per scopi diversi e ben più nobili, tipo aiutare chi è costretto a fare un sit in davanti al palazzo comunale per dare voce alle proprie legittime richieste troppo spesso inascoltate. La signora Renata Venanzi, perché così si chiama la signora in questione, a differenza della dottoressa Marzano non ha scritto un libro su un argomento tanto caro alla sinistra da spingere i suoi esponenti ad autotassarsi pur di farlo vendere, non si occupa di teorie gender nè di problemi “di alto profilo culturale” (per dirla con le parole del sindaco Toti e dell’assessore Bonciolini). La signora Renata Venanzi si occupa solamente di trovare il modo di sopravvivere e arrivare a fine mese, quindi di un argomento che per il Pd è come un sacchetto di spilli sulla sedia. A causa di una grave malattia questa signora ha perso il modesto lavoro che le ha consentito fino a un po’ di tempo fa di sopravvivere, perché con poco meno di 500 euro di entrate mensili fra pensione e attività lavorativa, dai quali vanno decurtate le spese per l’affitto, per le bollette e per un pasto quotidiano, si può solo cercare di sopravvivere, non certo vivere.

La differenza tra la signora Venanzi e certi intellettuali di sinistra, che ai proventi della propria attività lavorativa aggiungono anche lo stipendio grasso da parlamentari, sta nel fatto che la prima non pretende che nessuno si frughi in tasca per lei, bensì che le si offra un qualsiasi lavoro che le consenta di racimolare quel minimo per mangiare almeno una volta al giorno; la differenza tra la Sig.ra Venanzi e gli ospiti stranieri è che lei non vuole vivere alle spalle degli italiani, non vuole starsene in panciolle tutto il giorno bivaccando per le vie del centro storico facendo la pendolare tra un bar e l’altro, magari lamentandosi perché il tetto che le hanno messo sulla testa non è di suo gradimento o perché i pasti quotidiani che le vengono offerti non sono consoni alla sua religione o ai suoi gusti. Lei vuole solo un lavoro che le consenta di vivere senza dover fare sempre affidamento sull’aiuto di parenti e amici. 

Quello che la signora Venanzi chiede è di poter mantenere la propria dignità, perché le persone dignitose non vogliono il pesce, ma vogliono la canna per pescarselo e lei la canna da pesca la sta chiedendo da fin troppo tempo; qualcuno potrebbe obiettare che alla signora in questione è stata assegnata la casa popolare e un contributo mensile per la spesa. Ma proprio qua sta la differenza: Renata Venanzi è un’italiana che chiede un lavoro che le consenta di mantenere la propria dignità, ogni mese sminuita dal “buono spesa” (di 50 euro) che sa tanto di elemosina, una miseria a confronto di tutti quei soldi (pubblici) che ogni giorno vengono buttati al vento da amministratori troppo preoccupati di assecondare le mode del momento o di aiutare chi continua a disprezzare la nostra identità ed italiano certo non è. Se solo il sindaco e i suoi colleghi avessero messo per lei almeno la metà dell’impegno che hanno messo per accogliere i rifugiati, con tutta probabilità stasera la Sig.ra Venanzi avrebbe un bel branzino per cena”.