Casteldelbosco senza argine a due anni dalla piena foto

L’argine così come era stato progettato non si può fare. A dirlo è l’Autorità di bacino, che ha bocciato il progetto per proteggere Casteldelbosco da nuovi allagamenti. Poi, da lì, sono sorte nuove complicazioni. E’ quanto è emerso quando l’amministrazione Capecchi ha fatto il punto con i cittadini pochi giorni fa. La storia la ricordere, ma ripercorriamola rapidamente.

Era una mattina del gennaio 2014. In una provincia in totale emergenza per un’improvvisa piena dell’Arno, l’intera fascia pianeggiante del territorio di Montopoli finì sotto decine di centimetri d’acqua, comprese le abitazioni nella parte bassa di Casteldelbosco. Numerosi i danni, con scantinati allagati e stanze al piano terra completamente devastate. Nei giorni successivi seguì un serrato dibattito su ciò che occorreva fare per risolvere, una volta per tutte, i problemi idraulici del paese. A distanza di quasi due anni, però, la questione sembra ancora tutta in salita, con soluzioni che alla lunga si sono rivelate più complicate del previsto.

 

Due soluzioni parallele
Due le strade sulle quali l’amministrazione del sindaco Vivaldi cominciò lavorare. Da un lato il progetto di un piccolo argine da realizzare nello spazio compreso tra la ferrovia e il paese, in modo da tenere all’asciutto le case nella parte bassa della frazione. Dall’altro, in attesa dell’argine, la stesura di un protocollo per la gestione delle cateratte posizionate sotto la massicciata della ferrovia, che fino ad oggi gli abitanti di Casteldelbosco si sono abituati a chiudere, in caso di piena, trasformando il rilevato ferroviario in una sorta di argine “improprio”; un utilizzo, questo, che tuttavia ha sempre convinto poco le ferrovie.
L’argine non sa da fare
Nella consulta di frazione di pochi giorni fa, l’amministrazione ha fatto il punto della situazione, rivelando di fatto un quadro dai contorni ancora incerti. Il sindaco Capecchi e il dirigente comunale Gino Benvenuti, hanno spiegato come il progetto dell’argine sia incappato nel parere contrario da parte dell’autorità di bacino. “Pertanto – ha spiegato Benvenuti – è stata scelta la strada della mediazione per arrivare ad un progetto condiviso, ma le trattative si sono interrotte per l’insediamento della nuova giunta regionale e la questione è ripresa soltanto adesso”.
Una cassa d’espansione “naturale”
All’origine della posizione dell’autorità di bacino, c’è il timore che un eventuale argine possa aggravare la situazione a valle in direzione di Pisa. Fino ad oggi, infatti, tutta la fascia montopolese lungo l’Arno, sprovvista di argine da San Romano fino a Pontedera, ha funzionato da sempre come una sorta di cassa d’espansione “naturale”, dando ampio sfogo alle piene del fiume, con buona pace di chi vive al di là della ferrovia. Ed è per questo che gli abitanti di Casteldelbosco si sono abituati a chiudere le cateratte utilizzando la massicciata come un argine a protezione del paese. “Il problema è sempre lo stesso – dice il neo coordinatore Sergio Boschi -: questa zona deve finire sott’acqua per tenere all’asciutto Pisa. In realtà, il progetto dell’argine non toglierebbe niente all’area di espansione dell’Arno: mentre fino ad oggi chiudevamo le cateratte e l’acqua non andava oltre la ferrovia, con la costruzione dell’argine si creerebbe un’area, anche al di qua della ferrovia, che in caso di piena finirebbe sott’acqua.
La cateratte della discordia
L’argine, ad ogni modo, toglierebbe alle ferrovie il problema delle cateratte, che in questo modo diventerebbero sostanzialmente inutili. Fino ad oggi, invece, ogni volta che si verificava una piena, alcuni volontari di Casteldelbosco, capeggiati proprio da Sergio Boschi, provvedono a serrare le cateratte tenendo all’asciutto il paese. “Nel gennaio 2014 non ci riuscimmo – ricorda Boschi – La cateratte non venivano pulite da tempo e fu impossibile chiuderle”. Un utilizzo, tuttavia, che non è mai piaciuto alle ferrovie, che al contrario hanno sempre sostenuto che la massicciata ferroviaria non è progettata per funzionare come un argine. L’ex sindaco Alessandra Vivaldi, quindi, aveva avviato un trattativa con le ferrovie, anche con il coinvolgimento della Prefettura, per arrivare alla stesura di un protocollo che indicasse tempi e modi della chiusura delle cateratte, precisando una volta per tutte chi doveva farsene carico e quando.
Manca la firma al protocollo.
“Il comune – ha spiegato il geometra Benvenuti nella consulta – ha da tempo predisposto un protocollo operativo e lo ha sottoposto alla firma delle ferrovie che, tuttavia, hanno sempre rinviato la sottoscrizione. Le ferrovie hanno comunque inviato una comunicazione alla Prefettura dichiarando la loro disponibilità a scortare del personale incaricato alla manovra delle cateratte”.
“Noi siamo pronti a farcene carico come abbiamo sempre fatto – afferma Boschi -, i volontari per chiudere le cateratte si trovano. Il problema è che le ferrovie vogliono essere presenti con un proprio incaricato e alla fine questa burocrazia finisce per bloccare la situazione”. Da qui la volontà di provare ad accelerare i tempi, perché a due anni dall’ultima piena niente è cambiato. “Apprezziamo lo sforzo dell’amministrazione che sta facendo il possibile – dice Boschi – mentre le altre istituzioni non ci vengono incontro. Per il futuro, con l’aiuto del comune, vorremmo provare ad invitare alla consulta i rappresentanti di tutti gli enti coinvolti. Il nostro obiettivo è uno solo: garantire la sicurezza del paese e di tutte le abitazioni che si trovano al di là della ferrovia”.

 

Giacomo Pelfer

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