Parigi due giorni dopo, Sara Marinari di Orentano racconta

“E’ difficilissimo descrivere come si è svegliata Parigi dopo quella terribile notte. Ci sono controlli ovunque e la tensione è palpabile. Attraversare la città è diventato complicato, come dopo gli attentati di Charlie Hebdo: controlli, fermi, polizia dappertutto. Il giorno dopo poi la città era come paralizzata. Nel quartiere tutto era chiuso. Immobile”. A parlare è Sara Marinari originaria di Orentano. Volata in Francia dietro ad un dottorato dopo gli studi di filosofia, ci vive ormai da otto anni, nel quartiere Goutte-d’Or a pochi passi da Montmartre.

Per lei oramai Parigi è il luogo della vita e del lavoro, dove fa la professoressa in un liceo e ha messo su famiglia. Un’esistenza costruita proprio vicino ad uno dei luoghi coinvolti dagli attentati, che fortunatamente non l’hanno riguardata. “Montmartre è a due passi da qui, il bar coinvolto nella sparatoria, Le petit Cambodge, il mio ragazzo ed io lo conosciamo bene. E’ una zona che frequentiamo – racconta – L’impressione che abbiamo avuto è quella di aver semplicemente avuto molta fortuna. Avevo fatto tardi a scuola per i consigli di classe, eravamo usciti per una passeggiata, ma avendo un bambino di tre anni non abbiamo fatto tardi. Quando tutto è cominciato eravamo già a casa, ma avremmo potuto esserci”. Poi, gli spari, il caos, la città che scopre di essere presa di mira. “Abbiamo scoperto cosa stava accadendo dai messaggi che ci mandavano gli amici. Subito è scattata la paura che qualcuno dei nostri cari fosse coinvolto. La mattina dopo c’era tensione per le strade. Ogni città ha i suoi problemi, Parigi non è da meno. Un metrò che si ferma per qualche motivo, un ritardo, un’ingorgo. Ma adesso tutte queste cose vengono come vissute in modo differente. Questi attentati sono stati fatti da persone che all’improvviso si sono messe a sparare…non è descrivibile il modo in cui ti senti i primi giorni sapendo questo. E non è facile esprimere il clima che si crea in una città quanto tutti vivono questo pensiero.” Eppure la città secondo Sara ha anche i suoi anticorpi. “La scuola dove lavoro è stata visitata dal ministro dell’istruzione – racconta. – Osserveremo un minuto di silenzio e dovremo spiegare in classe cosa è successo. Non è facile. Ma credo che una città come Parigi, abituata da sempre alla sua composizione multietnica, non può permettersi il lusso della discriminazione. Non ci sono proprio i termini”. Il quartiere dove vive Sara è, fra quelli del centro parigino, uno di quelli ad alto tasso di immigrazione, da ogni parte del mondo. “A Parigi trovi ogni nazionalità. Anche gli italiani sono tantissimi, da non crederci. Il mio è un quartiere da sempre popolato soprattutto da famiglie algerine. Mio figlio di tre anni va a scuola con i figli di questo quartiere insegnando loro qualche parola come “ciuccio”, “bello”, “casa”. E ovviamente ne impara altre in arabo. E loro non sono i nemici. I miei studenti di confessione musulmana non sono i nemici. Adesso che sono mamma di un bimbo e che ne ho un altro in arrivo la paura è paralizzante, ma non voglio trasmettere l’odio ai miei figli. Voglio che la follia omicida sia condannata, punita. Ma come un atto compiuto da folli. Questo vorrei che capissero i tanti italiani che in questi giorni su facebook partono subito per la tangente.”

 Nilo Di Modica

Gabriele Mori

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