Maurizio Micheli e Mi voleva Strehler a Fucecchio

Maurizio Micheli chiude Sipario Blu. Domenica 3 aprile alle 21,30 l’attore comico sarà al Nuovo Teatro Pacini con Mi voleva Strehler per il gran finale della seconda edizione della stagione di prosa organizzata dall’associazione culturale Teatrino dei Fondi con il sostegno del comune di Fucecchio.

Maurizio Micheli, solo sul palco con una scenografia rotante che ripropone di volta in volta i vari ambienti (il camerino, il malridotto teatrino-night, la sua camera da letto), è un attore quarantenne costretto a esibirsi tutte le sere davanti a un pubblico cafone e che sogna la svolta: diventare famoso. E riscattarsi affrontando l’indomani un impegnativo provino con “Lui”, il regista, il mostro sacro per antonomasia: Giorgio Strehler. E passa in rassegna tutte le modalità con cui presentarsi a “Giorgio” dimostrandogli la sua versatilità in campo teatrale. Un testo storico, riproposto fedelmente così come era stato scritto nel ’78 e che non ha perso smalto, anzi, e disegna con ironia, tenerezza e tempi comici serrati e sferzanti gli sforzi e le nevrosi degli attori che agognano al grande balzo.
Il sorriso disincantato, la mimica, lo sfottò, la straordinaria capacità di transitare da una situazione all’altra, cambiando espressione, dialetto, cadenze e posture in un nanosecondo, il percepibile divertimento dello stare in scena sono rimasti intatti e solo qualche ruga in più sul volto di Micheli ricorda che sono passati quasi 40 anni dal debutto di Mi voleva Strehler al Teatro Gerolamo, quel 15 novembre 1978.
Il pubblico in sala da sempre ride e si diverte, applaude frequentemente a scena aperta, accompagna canticchiando le musiche famose di quegli anni, si identifica ricordando un’epoca di gran fermento, con i suoi sogni, i suoi miti teatrali, i vezzi intellettuali. E le quasi due ore di spettacolo, con intervallo di 15 minuti, volano.

 

Lo stesso Maurizio Micheli racconta che “lo spettacolo è nato nell’estate del 1978, io ero allievo e amico di Umberto Simonetta che proprio quell’anno era diventato direttore del Teatro Gerolamo e mi aveva proposto di scrivere un testo sulla vita e esperienze di un attore. In effetti c’è molto di vero e di autobiografico nel personaggio: anch’io, ai tempi, facevo cabaret e aspettavo la grande occasione. Anch’io avevo alle spalle le scuole di teatro e una laurea al glorioso Dams di Bologna. Anch’io avevo seguito con entusiasmo e stupore le esperienze teatrali all’avanguardia in quegli anni ’70, come il Living Theatre di New York… insomma, il materiale c’era tutto. Il bello è che poi, molti anni dopo, Strehler mi chiamò davvero, per un testo tragico e tremendo del 1763, la Minna von Barnheim del drammaturgo tedesco Ephraim Lessing, ambientato durante la guerra dei Sette Anni tra sassoni e prussiani. E davvero dissi di no, perché ero impegnato in un varietà televisivo a Napoli e perché, sotto sotto, non mi vedevo tanto bene nei panni drammatici di un ufficiale prussiano. Perché io sono nato comico e mi sento comico dentro, ancora adesso. La comicità è un gene, te la devi sentire addosso, devi guardarti allo specchio e non prenderti sul serio, devi alzarti, camminare, mangiare, farti la barba e intanto pensare a come far ridere la gente… ogni sera, quando vado in scena è il mio primo pensiero… come faccio a farli ridere? e sono loro, seduti in platea, a darmi la carica, ogni risata, ogni scoppio d’allegria è un’iniezione di energia… e anche dopo oltre mille repliche sono sempre lì ad aspettare la risata, per ricaricarmi e andare avanti”.

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