Memoria, Spinelli: ‘Non siamo riusciti a trasmettere valori’

“Di fronte alla disperazione di Paesi lacerati dalla guerra, troppe persone preferiscono voltarsi dall’altra parte. Interi Paesi, anziché proporre soluzioni umanitarie, preferiscono costruire muri dietro i quali nascondere i loro pregiudizi. Se l’Europa si è ridotta ad avere un ruolo poco più che di spettatore temo sia anche perché non siamo riusciti a trasmettere ai nostri giovani quei valori di cui abbiamo parlato in questi giorni durante le celebrazioni. E la colpa è anche delle istituzioni. Dobbiamo fare autocritica”. Lo ha detto il sindaco di Fucecchio Alessio Spinelli il giorno dopo il 25 aprile.

Secondo Spinelli, l’anniversario della Liberazione e le altre ricorrenze legate alla fine della seconda guerra mondiale, come quella celebrata sabato scorso a Staffoli con i reduci e i rappresentanti della Feb (Força Expedicionária Brasileira), hanno rappresentato un momento di riflessione sul nostro passato e sui valori su cui poggiano le radici democratiche del nostro paese. Ma non solo.
“Queste ricorrenze – spiega – ci hanno proposto momenti di riflessione che possono essere molto utili per l’attualità. Viviamo da alcuni anni momenti di forti tensioni internazionali nei quali l’Europa non riesce ancora a mostrare il suo volto unitario. Il processo di integrazione, iniziato oramai da decenni, non riesce a concretizzarsi appieno e sullo scenario internazionale il nostro continente appare ancora fragile e diviso. Eppure le ricorrenze di questi giorni ci parlano di concetti completamente diversi. Non ci parlano di divisioni e di titubanze ma di slanci di generosità, di partecipazione e di coraggio. Incontrando sabato scorso i reduci dell’esercito brasiliano ho ripensato a quanto distante fosse per loro l’Europa negli anni ’40. Eppure di fronte alla minaccia nazi-fascista, che rischiava di cambiare il destino del mondo, partirono per raggiungere paesi lontani e semisconosciuti come il nostro. Ogni anno tornano nei boschi di Staffoli, dove avevano una loro base, per ricordare quei momenti: i giorni della paura ma anche quelli della felicità, della fine della guerra, della gioia e degli amori nati lontani da casa. Con lo stesso coraggio migliaia di ragazzi italiani salirono sulle montagne lasciando i loro cari con lo scopo di riconquistare la libertà e riscattare l’Italia dopo la dittatura fascista. Oggi quei sentimenti sono molto lontani”.

 

“Perché – si chiede infine – un ragazzo oggi, a 70 anni di distanza, dovrebbe scendere in piazza con un fazzoletto tricolore al collo e intonare Bella ciao? Perché dovrebbe farlo quando, in molti casi, non ha più neppure un nonno che possa testimoniargli i sogni e la voglia di rinascere che animò l’Italia il 25 aprile del 1945? Siamo tutti chiamati a fare di più: istituzioni, associazioni, società civile. Se continueremo a riempire le nostre piazze soltanto durante le altre ricorrenze (che sempre giustamente celebriamo) ci troveremo con una parte di mondo sempre più disperata e con i muri come riprovevole risposta”.