





I Sogni nel Cassonetto è il titolo della personale che Gianfranco Giannoni presenta all’interno del liceo scientifico Marconi, provvisoriamente sistemato nella sede della Scala, in un allestimento curato da Filippo Lotti e Renata Masi. La mancanza di un edificio titolato a ospitare la scuola in modo permanente e strutturato e l’incertezza del futuro dopo la diaspora innescata dall’instabilità del fabbricato di San Donato, non ha inficiato la voglia di creare, fare, sperimentare, produrre cultura del preside Luca Guerranti e del corpo docente, confermando il liceo Marconi come un ambiente che è qualcosa di più di una semplice scuola: è un luogo dove si istruiscono i ragazzi e dove si cerca anche di aprire i loro orizzonti di conoscenza e di cultura nel senso più propriamente antropologico.
Non solo nozioni, verrebbe da dire ascoltando Guerranti, ma anche pensiero e capacità critica e il fatto che il liceo Marconi oggi non abbia una sede certa per il futuro non può e non deve fiaccare la voglia di pensare e insegnare a pensare: il pensiero lo si può produrre in qualunque luogo e non ha bisogno almeno al livello liceale, di grandi apparati.
In questo senso trasformare una parte della scuola in un piccolo spazio espositivo rappresenta un’occasione unica per gli studenti, tanto più se il pittore è del territorio e ha qualcosa di significativo da dire, da insegnare, da comunicare. Nasce quindi con un duplice effetto la personale di Giannoni, allestita al primo piani del Liceo: da un lato dare un’opportunità agli studenti, dall’altro trasformare il liceo in un luogo non solo di mera didattica, cercando di superare quel principio del vaso vuoto e vaso pieno che forse ai tempi di oggi lascia alla fine lo studente poco più ricco di come lo ha trovato. Ma questo è anche un tentativo di superare schemi mentali preconcetti di cui la provincia italiana è fin troppo ricca e di dare una valenza anche di luogo accessibile al liceo, dove tutti possono trovare conoscenza: la mostra infatti sarà visitabile da tutti nell’orario di scuola.
I sogni nel cassonetto e il pittore
Nel panorama di San Miniato e forse anche in quello un po’ più ampio della Toscana e dell’Italia, Gianfranco Giannoni rappresenta un’esperienza assai rara non solo per le sue opere, ma anche per essere un pittore che nella sua carriera artistica ha fatto un percorso, ha sperimentato, ha ricercato, ha fatto varie esperienze artistiche che lo hanno portato a un linguaggio contaminato, sintetito e spesso di grande efficacia, dove pur restando a cavallo tra una pittura figurativo e informale, non mancano richiami alla cultura novencentesca delle avanguardie che il pittore conosce bene e la cui esperienza artistica ha interiorizzato e fatto propria, riproponendola in forma nuova e originale. Un artista di valore in cui un senso dell’immagine vasto ed eclettico convive con un’indole da editorialista e il gusto dissacrante dei toscani, dando vita, nelle opere ora esposte al liceo Marconi a una visione della storia d’Italia più recente, ironica, disincantata, tragica e graffiante. Se chiedete a Giannoni chi sono i suoi riferimenti artistici o come si è formato, lui risponde in modo schivo e senza retorica: “Sono autodidatta, ho cominciato a dipingere perché non volevo più alzarmi alle 5 del mattino per andare a lavorare a Montelupo, dove facevo vasi. Volevo dipingere e non me lo lasciavano fare, si faceva solo spolvero. Non ho maestri: penso che tutti si riparte da Van Gogh“. La pittura quindi come strumento di liberazione e di sottrazione dell’uomo ad un processo seriale e avvilente, ma forse Giannoni da persona umile quale é, non dice che ha cominciato a dipingere perché in realtà aveva voglia di conoscere, di comprendere, di sperimentare, di raccontare. La sua è una pittura che non arride alle mode o al potere e che sperimenta in continuazione. “E’ fondamentale avere le capacità tecniche, sapere fare altrimenti non si può dipingere – dice agli studenti -. Poi per il resto io mi ritengo un cronista”. Dalla cronaca infatti Giannoni prende spunto e crea opere che per il loro linguaggio si prestano a vari livelli di lettura. Esperto della tecniche grafiche, quando necessario, come nelle opere esposte al liceo, recupera il linguaggio visivo della pubblicità, del cinema, dell’informazione e della grafica utilizzandolo per accostare concetti da cui nasce una critica impietosa, alle volte sferzante, altre grottesca, dove un particolare del quadro rimanda a un tutto che sta nella nostra storia e cultura recente in una sorta di nostro subconscio dell’immagine. Giannoni racconta il suo tempo guardandolo con occhio disincantato e alle volte anche indignato, ma da buon toscano all’indignazione preferisce un’ironia e la satira, che allo spettatorearriva allo stomaco dopo averlo fatto sorridere: non c’è pietas, non c’è ammiccamento al sentimento nei quadri di Giannoni, così come non dovrebbe esserci nel linguaggio della cronaca e lascia che il sensibile nasca nello spettatore che sa capire le sue opere. Un pittore sanminiatese, di rara capacità e valore che offre continui spunti di riflessione al fruitore del quadro che non si ferma alla lettura veloce e superficiale, basta rimanere qualche istante di più davanti agli acrilici per capire che raccontano le miserie umane del nostro tempo attraverso un processo di sintesi e sottrazione alla retorica. Non solo: Giannoni alle volte riesce a utilizzare immagini che si prestano a una pluralità di letture rimandando a forme simboliche canonizzate dal linguaggio del cimena e dei media come nel caso del quadro Suicidio per un paio di scarpe nuove dove è possibile trovare oltre alla lettura letterale molti altri significati e riferimenti alla storia del ‘900 e dei primi decenni del ventunesimo secolo. O come nel caso del Il cardinale Berto con il suo fido consigliere Romanowsky dove la scelta di utilizzare un linguaggio caricaturale della satira crea molti rimandi a una cultura visiva degli anni nostri. Ma lo stesso si potrebbe dire per altre opere esposte al liceo Marconi dalla Mummia Itala alla “bambola nel cassonetto”. Giannoni infatti non descrive ma cerca attraverso il tratto ironico e dissacrante sintesi della realtà. Per fare questo si avvale con estrema parsimonia, ma con l’efficacia di chi ha interiorizzato la cultura pittorica del ‘900 di continui rimandi alle avanguardie, da Chagall e Mirò, da De Chirico a Picasso, utilizzando e sintetizzando i vari elementi per raccontare il suo tempo e suggerire nuove chiavi di lettura. Un pittore interessante che non si è arreso al mercato e non si è lasciato sedurre da committenze facili, che ha continuato nella sua carriera a cercare nuove esperienze, approdando in queste opere a una sorta di forma simbolica della cronaca e dei mostri del nostro tempo. (ga. mo.)