Maleodoranze nel Cuoio, i risultati del report Arpat

La qualità dell’aria e le maleodoranze sono temi molto sentiti dalla popolazione del comprensorio del cuoio. Da Fucecchio a San Miniato, passando per Santa Croce sull’Arno e Castelfranco di Sotto e finendo a Santa Maria a Monte e Montopoli, queste tematiche sono discusse quasi giornalmente. Arpat su questo ha fatto un’ampia campagna di monitoraggio, per andare a mappare e quantificare gli agenti inquinanti tipici del distretto conciario. E questi sono i risultati.

Le emissioni in atmosfera generate dalle concerie sono di vario tipo: si parte dai composti volatili (Cov), che derivano dalla rifinizione a spruzzo delle pelli. Poi le polveri, prodotte durante fasi quali smerigliatura e rasatura. Segue il solfuro di idrogeno (H2S – acido solfidrico), che è responsabile del cattivo odore. Nel distretto conciario – si legge nel report Arpat – i due problemi più critici relativi alla qualità dell’aria derivano dal Pm10 (le polveri sottili) e dal solfuro di idrogeno. Per questi inquinanti è stata intrapresa una campagna di monitoraggio, sia per avere risultati più indicativi delle eventuali criticità sia per testare la rappresentatività della centralina fissa in zona Coop a Santa Croce sull’Arno, mediante l’impiego di stazioni mobili nei comuni limitrofi (Fucecchio, Montopoli Val d’Arno, Castelfranco di Sotto, Ponte a Egola), oltre ad un’altra in località Cerri, ancora a Santa Croce.
Questione Pm10. Per determinare la rappresentatività della centralina santacrocese Arpat ha affrontato 4 campagne di monitoraggio da dicembre 2014 a novembre 2016, andando a concentrarsi sulla stagione invernale, che è sempre la più critica. Andando ad osservare i dati emerge che vi è una rispondenza quasi totale tra le centraline mobili e quella fissa. In quasi tutti i casi – a parte che a Fucecchio in via del Ronzinello – i valori delle centraline mobili sono di poco inferiori a quelli della fissa. Per cui secondo Arpat l’utilizzo della centralina santacrocese è “cautelativo nei confronti della popolazione per l’esposizione a Pm10”. C’è da dire che durante l’inverno – quando le Pm10 schizzano alle stelle – si sono rese necessarie delle ordinanze “anti-abbruciamenti” per limitare il diffondersi delle Pm10 nell’aria.
Solfuro d’idrogeno nel mirino. Più articolata è la questione di questo solfuro, il quale sta alla base delle maleodoranze spesso lamentate. Nel report di Arpat si legge che le concentrazioni di solfuro d’idrogeno sono molto variabili in funzione della zona anche in un territorio molto ristretto. Per questo i tecnici dell’agenzia si sono concentrati sul valore percentuali degli episodi di superamento (su base oraria) della soglia olfattiva, in quanto questo dato può offrire un’indicazione sulla possibilità di innesco di maleodoranze locali. Le frequenze di superamento non trascurabili e valori di concentrazione elevati si osservano quasi sempre esclusivamente nel sito di Ponte a Egola e, in misura minore, a San Romano. Esse concorrono a definire una situazione di contaminazione locale da solfuro di idrogeno. Tale fenomeno, che contraddistingue le postazione con maggiore frequenza di concentrazioni orarie al di sopra della soglia olfattiva, si ritrova in tutte le stagioni a Ponte a Egola (via della Tecnica) e d’inverno e d’autunno in via Pertini a San Romano. In quelle situazioni è elevata la possibilità che si formino odori molesti: a San Romano nel 6,5 per cento del tempo e a Ponte a Egola nel 20,2 per cento. In inverno, primavera ed autunno, il sito di Ponte a Egola fa registrare queste percentuali di ricorrenza di superamento della soglia olgattiva dei 7,0 microgrammi/metro cubo sempre sopra al 13 per cento, con punte del 40 per cento in autunno. Nelle conclusioni di Arpat emerge che a Ponte a Egola (biennio 2015-2016) la soglia olfattiva su base annuale è stata superata per oltre il 20 per cento del tempo di rilevamento, con conseguente alta probabilità dell’instaurarsi di condizioni favorevoli allo sviluppo di maleodoranze. La stazione di rilevamento regionale, quindi, rileva la presenza dell’inquinante sopra la soglia olfattiva nell’area. Tuttavia, viste le peculiarità del solfuro d’idrogeno, non può rappresentare singole pressioni puntuali, che possono essere rilevate solo vicino alle fonti.

Marco Sabia

 

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