“Era l’inferno, io ho paura”. Parla l’uomo aggredito foto

“Non voglio arrivare al punto in cui dovranno fare le condoglianze a mia moglie. Abbiamo paura”. Mette insieme tutto il suo coraggio A. B., 47enne senegalese ferocemente picchiato ieri mattina 28 maggio a Castelfranco (dimesso con 5 giorni di prognosi dall’ospedale) dall’imprenditore da cui ha lavorato per anni e dai due figli, in pieno centro (leggi), per raccontare la sua storia. I tre al momento risultano denunciati. Come aveva fatto ieri coprendo la faccia con un bollino, IlCuoioindiretta.it sceglie anche oggi di mantenere anonima la vittima, convinto che la tutela delle persone – anche dei figli – sia sempre prioritaria.
Sulla vicenda stanno indagando anche i carabinieri, che hanno al momento individuato i tre soggetti, almeno due dei quali finiti al centro delle cronache per una storia molto simile meno di un anno fa, quando a fare le spese di un’aggressione furono altri lavoratori stranieri che chiedevano di essere pagati (leggi).

“E’ accaduto tutto in un attimo, sembrava un film – racconta l’uomo -. Si sono accostati, mi hanno bloccato, sono scesi di macchina e mi chiedevano di pagare l’affitto dell’appartamento dove vivo” racconta, ancora spaventato, tenendo stretta fra le mani la ricevuta di un assegno, datato al 21 maggio. “L’ultimo affitto – prosegue – io l’avevo pagato giorni prima. Non lavoro più per loro, sono persone pericolose e l’ultimo assegno gliel’ho fatto recapitare da altri perché ho paura ad averci a che fare. Non mi hanno dato nemmeno il tempo di spiegarmi che subito hanno cominciato a picchiarmi, prima con pugni e calci, poi è spuntata una sbarra di ferro”. Epilogo drammatico di una storia che per l’uomo è iniziata, però, come quella di altri lavoratori stranieri. Una storia che nel caso di A. inizia all’inizio degli anni 2000, fino ad incrociarsi con la storia di un’azienda che gli dà lavoro e anche un appartamento in centro a Santa Croce. “Ho iniziato a lavorare per loro nel 2009. Fino al 2015 le cose sono andate normalmente. In quegli anni mi sono trasferito nella casa dove sto adesso in via Pallesi, di proprietà del datore di lavoro” racconta. “Poi è arrivato il fallimento, la riapertura, hanno cambiato tutti i contratti. Andavamo di tre mesi in tre mesi, a volte un anno. Spesso arrivavamo al momento di riscuotere e ci dicevano che non avevano soldi. Quando l’anno scorso ho smesso di lavorare da loro, dovevano ancora darmi la liquidazione e mi hanno detto che non potevano darmela, ma potevano scalarla dall’affitto. Nel frattempo l’estate scorsa mi hanno chiesto di lavorare ancora un mese e non me l’hanno pagato. Io ho sempre detto loro ‘quando mi paghi, io ti pago l’affitto’. Ma come si fa a dare da mangiare ai figli con lo stipendio che va e viene e quando va bene serve per scalarci gli affitti? Per tutto l’inverno gli ho chiesto i miei soldi, ma niente. A inizio anno, fatti tutti i conti, mancavano tre mesi di affitto da pagare. Io nel frattempo ho trovato lavoro altrove. Dovevamo accordarci per dargli qualcosa in più tutti i mesi e saldare tutto, solo che con loro non voglio più avere a che fare. L’ultimo assegno non gliel’ho voluto portare di persona. Sono persone pericolose”. Adesso, la paura di dover vivere nella casa delle persone che l’hanno aggredito.
“Qui ci vivo con i miei figli, ho paura anche a lasciare mia moglie in casa da sola. Adesso lavoro in un’altra ditta. Cerco casa ma non la trovo” continua. “Non voglio mai più avere a che fare con quelle persone. Lavoravamo 13 ore il giorno in quel capannone, guardandoci le spalle e andando al bagno di nascosto, senza farci vedere. Anche per bere dovevi stare attento che non ti vedessero. Era l’inferno”. E poi, la voglia di denunciarli dopo l’aggressione. “Come mai sono ancora liberi? Hanno fatto la stessa cosa poco tempo fa” racconta “quando dico che voglio denunciarli mi dicono tutti che hanno già delle denunce ma che devono finire le procedure, che ancora non possono fermarli. Intanto però io vivo con la paura che facciano qualcosa di male a me o alla mia famiglia. Cosa stiamo aspettando?”.

Nilo Di Modica

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