Tartufo, a S. Miniato 100 euro per un etto

5 ottobre 2019 | 11:39
Share0
Tartufo, a S. Miniato 100 euro per un etto
Tartufo, a S. Miniato 100 euro per un etto
Tartufo, a S. Miniato 100 euro per un etto

La stagione del tartufo entra nel vivo: a quasi un mese dall’apertura della raccolta, “si stabilizzano” le quotazioni dell’oro bianco di San Miniato. I primi tartufi venduti dopo che hanno raggiunto una buona maturazione sono costati relativamente poco a chi li ha comprati. I prezzi, più o meno stabili a questo punto della stagione e prima delle Fiere di novembre, si attestano a 1300 euro al chilo per le pezzature sotto i 20 grammi e 1800 euro per quelli invece più grandi, che hanno un peso di circa 70-80 grammi. La fascia media, quindi, costa circa 1500 euro al chilo.

A giudicare dalle quote, la prima cosa che viene in mente è che sono piuttosto basse per il tartufo pregiato di San Miniato e questo abbassamento del prezzo fa pensare che il fungo, effettivamente, sulle colline non manchi. A differenza di quanto avviene ad Alba, dove oggi apre la Fiera e la pezzatura media è battuta a 2.500 euro il chilo. Tra i fattori che determinano il prezzo c’è proprio la maggior richiesta dettata dalla Fiera, in un momento in cui il prodotto non è abbondante. Oltre al brand Bianco d’Alba, cosa che aumenta la domanda e che è nato a partire da una Fiera che oggi fa 89 edizioni.
A San Miniato la storia del tartufo è più recente. Lo è quella legata al racconto del tartufo, che ne determina la notorietà. I prezzi del tartufo samminiatese sono rigidamente vincolati alla domanda e all’offerta. È da questa legge basilare dell’economia che dobbiamo partire se vogliamo capire i motivi delle oscillazioni dei prezzi di anno in anno. Il grafico dell’andamento di queste due variabili dice che all’aumentare dell’offerta e cioè la quantità di tartufo disponibile, il prezzo diminuisce. Quindi, se l’offerta è bassa, cioè se c’è poco tartufo, il prezzo aumenta. In altre parole, è la scarsità di un bene che ne fa aumentare il valore. A queste semplici considerazioni si aggiunge un fattore che in economia è una condizione è importantissima: l’asimmetria informativa. Si genera asimmetria informativa quando fra le parti che interagiscono nel processo economico ce n’è una che ha a disposizione più informazioni dell’altra e quindi può usare a suo favore, traendo dei vantaggi, la mancanza altrui di informazioni complete. L’esempio classico è quello di un venditore che non esplicita tutte le caratteristiche di un oggetto proprio per agevolarne la vendita. A chi compra, in questo caso, mancano informazioni che se fossero esplicitate influenzerebbero la compravendita. Ma con il tartufo esiste l’asimmetria informativa? Secondo Gianpiero Montanelli, cercatore di tartufi, sì.
Nel mercato del tartufo l’asimmetria dipende spesso dall’incapacità di conoscere l’esatta provenienza del fungo. Per il momento il tartufo non ha una tracciabilità, se non attraverso l’analisi genetica, infatti in ogni zona il dna del tartufo presenta della peculiarità che lo riconducono al territorio in cui è cresciuto. Anche quello pregiato di San Miniato ha proprie caratteristiche, ma che possono essere analizzate solo attraverso attente valutazioni di laboratorio sui cromosomi. Questo crea una situazione per cui, come spiega Montanelli, può accadere che dei tartufi magari anche pregiati, possano arrivare da fuori della zona dove vengono acquistati, questo avviene perché il tartufo non ha tracciabilità. Fermo restando che quello che viene venduto durante la mostra mercato è tartufo di San Miniato fino a prova contraria, Montanelli infatti spiega: “Io, se il tartufo viene da altre parti, non lo so riconoscere. Riconosco se è pregiato, riconosco il terreno ma non ti so dire se è umbro, campano o samminiatese. Quindi questo è un elemento che può giocare a sfavore dell’acquirente se il commerciante non è preciso. In generale sul mercato del tartufo nazionale se si immette del prodotto che arriva da fuori è chiaro che si fa aumentare l’offerta e si abbassa il prezzo”.
La sicurezza di scegliere un prodotto a chilometro zero è importante per i consumatori, pur riconoscendo che è difficile distinguere i tartufi, Montanelli dà alcuni consigli sulle caratteristiche da attenzionare per scegliere solo il tartufo di San Miniato.
Per prima cosa, quali sono le piante tartufigene: “Alcuni tipi di pioppo, il leccio, il nocciolo, la roverella che è un tipo di quercia, sono tutte piante tartufigene – spiega Montanelli -. Ogni pianta ha bisogno di un terreno particolare. Il ph – l’unità usata per misurare l’acidità del terreno – deve essere tra 7 agli 8 come valore quindi tenzialmente basico. Deve essere quindi un terreno alcalino ricco di calcio. Il mare, con le inondazioni, qui ci ha portato bicarbonato di calcio e per noi è un vantaggio. I terreni argillosi danno tartufi irregolari e scuri. I terreni tufosi o renosi danno tartufi lineari e chiari, giallastri. E poi l’altitudine: oltre gli 800 metri il tartufo bianco non lo troviamo. Il sapore può essere diverso, ma quello dipende dalla profondità e dalla pianta. Ci sono tanti fattori che devono essere in equilibrio. Ora il tartufo che si trova è di buona qualità, dovrebbe piovere nei prossimi giorni per essere l’ideale”.  “Sul fronte della tracciabilità – conclude Montanelli – la questione si fa ancora più controversa. Sono gli stessi tartufai, che dovrebbero essere i protettori del marchio, che non vogliono la tracciabilità. In primis perché ciascuno sa dove andare a cercare il fungo pregiato e non vorrebbe certo svelare i propri punti nascosti. In secondo luogo, perché i cercatori godono di un regime fiscale agevolato che vorrebbero mantenere invariato. Nel marzo di quest’anno è stata introdotta una sorta di no tax area per cui chi si dedica alla ricerca paga una cifra forfettaria di 100 euro se rimane entro i 7mila euro l’anno. In questo modo, chi acquista il tartufo, commercianti o ristoratori, emettono un’autofattura che fa anche da documento di tracciabilità”.

Giuseppe Zagaria