Lo spettacolo dei richiedenti asilo per 3 domeniche a San Miniato foto

Per tre domeniche – 12, 19 e 26 – di novembre, alle 16,30, sulla salita della Rimembranza a San Miniato ci sarà Orestea Africana, spettacolo di teatro adatto al palco come alla strada. Attori e musicisti sono una decina di richiedenti asilo che vivono sul territorio, in particolare a Collegalli, a Montaione.

Lo spettacolo, con la regia di Andrea Mancini, è una collaborazione tra Movimento Shalom onlus e Teatro della Conchiglia e sarà ospite della mostra mercato del tartufo bianco di San Miniato. In scena ci saranno Abdolie Bonjang, Lamin Cham, Benjamin Compaore, Mushtaq Ahmed, Abass Dahabas, Chejk Djiba, Valentine Iowe, Alhaji Jadama, Sarjo Tourai, Patrick Tadjuidie, Issa Togola. L’Orestea racconta una società tribale che si trasforma in un consesso civile, nell’Atene classica, simbolo della nostra realtà occidentale. Oreste ammazza la madre, rea di aver ucciso suo marito Agamennone e viene perseguitato dalle Erinni, sorta di demoni della foresta. Alla fine queste stesse Erinni diventano le sue protettrici, dopo che Atena ha istituito il primo processo e Oreste è stato assolto dalle sue colpe. Il testo naturalmente è riassunto in poche battute, messe a commento di azioni che sono tutte di musica e danza di grandissima suggestione. Il secondo dopoguerra ha visto numerosi allestimenti dell’Orestea di Eschilo e c’è un saggio di Umberto Albini che ne ricostruisce la storia (Nel segno di Dioniso, Garzanti, Milano 1999), si va appunto dagli allestimenti del dopoguerra, di Jean Louis Barrault a Parigi e di Vittorio Gassman a Siracusa (con la traduzione di Pier Paolo Pasolini), fino a quelli degli anni 70 da parte di Luca Ronconi, Peter Stein, Franco Parenti. Ognuno di questi risponde a vari concetti di democrazia, gli spettacoli più recenti ci credono poco, parlano di una democrazia infelice, limitata, mentre i più antichi, appena fuori dalla guerra, sono più positivi, magari anche più illusi. La città di Atene, che istituisce il primo tribunale, per giudicare Oreste, reo di matricidio, è vista in ogni caso in senso progressista.
Ad esempio Gassman, con Pasolini, che avrebbe poi voluto girare un film (ci resta il suo Appunti per un’Orestiade africana, 1969), racconta la trasformazione delle Erinni in Eumenidi, come se fosse l’uscita dal mondo agricolo verso quello industriale, le grandi migrazioni da sud a nord; siamo alla fine degli anni Cinquanta e c’è comunque una nota positiva, non priva appunto – altrimenti il lavoro di Pasolini non avrebbe avuto senso – di alcuni segnali d’allarme: questi Spiriti della foresta devono vigilare sull’integrità di Oreste, sui pericoli della civiltà, rispetto alla foresta. È stata proprio questa la linea che abbiamo scelto di rappresentare, radicalizzandola ancora di più e descrivendo il passaggio dalla civiltà tribale a quella democratica, come se fosse la fuga dall’Africa verso l’Europa, con un simbolico attraversamento del mare, una salvezza e anche una condanna. Questo – e sono le frasi finali della nostra Orestea -, a patto che gli Spiriti della foresta, che rappresentano origine e passato di questi uomini, restino vigili, attenti a non dimenticare, a mantenere integra la loro natura selvaggia. Lo spettacolo rappresenta il nuovo lavoro del Teatro di Collegalli, un gruppo nato da qualche mese dai richiedenti asilo ospiti della Casa della Pace che il Movimento Shalom ha da anni realizzato in un antico insediamento nei boschi tra Corazzano e Montaione.
Queste persone, la maggior parte africani, con alcuni che vengono anche dal Pakistan, hanno lavorato con entusiasmo al progetto, dedicando gran parte del loro tempo alle prove e anche alla costruzione degli strumenti musicali. Ne è nato un lavoro importante, che riesce a raccontare meglio di altro le problematiche e anche l’orgoglio di questi giovani, eccezionali testimoni di un mondo in via di sviluppo che, pur nelle difficoltà più tremende, può e deve continuare a tenere la testa alta.

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