“Avevamo fatto il rifugio in una grotta ma le bombe arrivarono fino a lì”, Annunziata Fedora racconta i suoi 100 anni

Si trasferì a Ponte a Elsa dove lavorò fino alla pensione. Il padre morì nell'alluvione del '66

Soffiare su 100 candeline è già eccezionale. Ma farlo in un locale, dopo aver scritto di proprio pugno una sintesi della propria vita è parecchio più raro.E fa venire proprio voglia di dire: altri 100 di questi giorni.

Annunziata Fedora Mancini, oggi domenica 26 febbraio, ha spento cento candeline, festeggiata al circolo Arci di Brusciana di Empoli con i suoi adorati familiari, nipoti, bisnipoti, parenti e tanti amici. Annunziata Fedora ha un motto che recita come un ‘mantra’: “Non aspettare domani per quello che puoi fare oggi”.

“Ho frequentato – racconta – le elementari a Monterappoli fino alla IV perché la V non c’era. Durante la Seconda Guerra Mondiale abbiamo ospitato tanti sfollati, eravamo più di cinquanta persone. Lavoravamo nei campi anche sotto i bombardamenti. I Caccia passavano due volte al giorno, bombardavano la strada e la ferrovia e ci nascondevamo nelle fosse. La notte si dormiva in cantina dentro i tini con la paglia che serviva da materasso e sembrava di essere più al sicuro. Ricordo che nel ’43 avevo venti anni, il 13 luglio i tedeschi mi volevano portare a San Giusto all’ospedale militare per farmi fare la crocerossina. Avevano una moto con il carrozzino accanto per portarmi via. Per fortuna con l’intervento della mia mamma, mi hanno lasciata libera ma ho avuto tanta paura. Dopo questo siamo sfollati tutti in Ormicello. Avevamo fatto il rifugio in una grotta ma le bombe arrivarono fino a lì. Ricordo che si ruppe anche la damigiana dove avevamo l’acqua per bere. A fine guerra tornammo tutti a casa sani e salvi”.

Annunziata Fedora si sposò con Orfeo Rosselli nel ’48 e dopo nove anni di matrimonio ebbero una figlia, Grazia. Si trasferirono a Ponte a Elsa dove lavorò in una casa vinicola fino alla pensione. Una donna molto lucida nei racconti scolpiti della Guerra e nelle passioni che porta avanti ogni giorno: dal ricamo al fatto a mano all’uncinetto fino alla coltivazione del suo amato orto di cui si prende cura da quando nel 1989 è rimasta vedova.

“Mia mamma -racconta la figlia Grazia – è un fiume in piena e vederla scrivere la sua storia lo dimostra pienamente. Gode di ottima salute e io le auguro tanti anni ancora da vivere con le sue passioni. Ama scrivere proverbi, barzellette, fatti di cronaca e avvenimenti. Suo padre, Palmiro Mancini, morì durante l’alluvione del ’66 e lo ha voluto ricordare con un racconto-testimonianza pubblicato nel libro ‘L’Arno raccontato: tra cronaca e immaginario, 1966-2006’ e anche nel volume ‘Piovve sul bagnato’. A lui, a Brusciana, grazie a mia mamma e all’amministrazione comunale è stato intitolato il giardino pubblico adiacente alla ferrovia e alla Casa del Popolo, in sua memoria”.

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