Delitto dell’argine, Cascino: “Sono stato io, ecco dov’è l’arma” foto

Sopralluogo sull'argine con la polizia penitenziaria

Voleva punite il fratello Gilberto per quelle questioni di condominio passate dal posto auto alla posizione dello stendino. Piccole cose, ma mai chiarite, appoggiate l’una sull’altra che in un periodo particolarmente esasperante di convivenze forzate è esploso nell’omicidio di Roberto Checcucci, trovato morto una domenica mattina nei pressi dell’argine di Castelfranco di Sotto (qui). Almeno questo, al momento, resta l’unico movente plausibile capace di muovere la mano di Luigi Cascino, il vicino di casa nella corte di Fucecchio che in carcere ha confessato l’omicidio, ma non ha approfondito il movente.

Sul corpo di Checcucci, una decina di segni da arma bianca ma anche quelli della lotta, di un inseguimento breve, della colluttazione finale. Parte di quei segni, come il Dna sotto le unghie, hanno guidato l’indagine al vicino di casa che, dopo quasi un mese in carcere, ieri avrebbe confessato. Un delitto lucido e premeditato, tanto da mettersi in auto di domenica mattina presto, camminare armi in tasca per l’argine e poi colpire.

In quel tratto di argine, Cascino ha portato gli inquirenti, in cerca di quegli indizi e dell’arma che ancora mancavano, nonostante i ripetuti e frequenti sopralluoghi, non solo dei primi giorni e senza i quali chiudere definitivamente il cerchio sarebbe stato più difficile. Una confessione non basta a fare un assassino, neppure con i gravi indizi raccolti dagli inquirenti. Per Cascino, quindi, inizia la fase del processo, al quale arriva però con spirito più collaborativo e dal quale magari risulterà più chiaro il movente. Il reato, comunque, resta tra i più gravi previsti dal nostro ordinamento.

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